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Mutui, perché non c'è correlazione tra spread BTp-Bund ed…

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Mutui, perché non c'è correlazione tra spread BTp-Bund ed Euribor

I mutui interessano certamente più famiglie italiane rispetto ai BTp. Una casa su due (e ogni anno ne vengono vendute più di 500mila) viene stipulata attraverso l’aiuto della leva finanziaria offerto dalla banca (il mutuo appunto). Mentre al momento appena il 5% dei titoli di Stato italiani è in mano ai piccoli risparmiatori (un paio di decenni fa il quadro era diverso tanto che si parlava di BoT people). In ogni caso mutui e BTp suscitano sempre un forte richiamo popolare. Ne consegue che quando queste due “grandezze” vengono a contatto in momenti di turbolenza finanziaria è fin troppo facile cadere in allarmismi.

Dallo scorso maggio - da quando si è insediato il nuovo governo Lega-M5S che ha proposto un contratto di governo piuttosto ambizioso in termini di deficit spending ma che non ha convinto tutti sul fronte delle coperture - lo spread BTp-Bund è salito sulle montagne russe. A inizio maggio questo differenziale di rendimento tra i titoli italiani e tedeschi a 10 anni quotava 120 punti. Oggi siamo intorno ai 300 punti, come non accadeva dal 2013.

I violenti strappi al rialzo dello spread BTp-Bund hanno innescato un generale senso di panico sul fronte mutuatari. Molti hanno temuto di vedersi aumentare da un mese all’altro la rata. Compresi quelli che stanno pagando un mutuo a tasso fisso, dimenticandosi del fatto che il loro tasso è bloccato per sempre indipendentemente da ciò che accade all’esterno, sui mercati.

La preoccupazione maggiore ha colpito l’universo dei mutuatari a tasso variabile. Perché in molti sono tutt’ora convinti che esista una correlazione tra le tensioni finanziarie (che possono far salire lo spread BTp-Bund) e l’andamento degli indici Euribor (gli unici, assieme al tasso ufficiale della Bce, che hanno il potere di far ballare le rate dei mutui a tasso variabile).

Come evidenzia il “grafinomix” di giornata questa correlazione non esiste. Il grafico abbraccia un periodo piuttosto ampio, tre anni. Perché è da più di 1.000 giorni che gli indici Euribor sono finiti addirittura nel limbo dei tassi negativi. L’Euribor a 1 mese è a -0,37%, quello a 3 mesi a -0,32%. Questi valori sono piatti da diverso tempo e non hanno per nulla risentito della forte volatilità dello spread BTp-Bund degli ultimi mesi.

Il grafico prova quindi che la correlazione tra spread obbligazionario ed Euribor non esiste. Quindi se lo spread BTp-Bund sale chi sta pagando un mutuo a tasso variabile non vede aumentare la propria rata. E non deve pertanto cadere in facili allarmismi. Anzi, paradossalmente, può valere il contrario. Perché se lo spread dovesse salire ulteriormente e la tensione in Italia dovesse trasformarsi in un attacco speculativo e a sua volta questo attacco speculativo dovesse contagiare altri Paesi dell’Eurozona a tal punto da compromettere la crescita economica, a quel punto è ragionevole supporre che la Bce possa essere spinta a rimandare i tempi di una stretta monetaria (rialzo dei tassi). E quindi questo scenario di allarme (non all’orizzonte al momento va detto) sul mercato obbligazionario potrebbe addirittura contribuire a tenere basso l’Euribor per ancora più tempo, prolungando quindi la fase di vacche grasse che stanno vivendo da diversi anni i mutuatari a tasso variabile che si vedono sottrarre l’Euribor (perché negativo) allo “spread del mutuo” fissato il giorno della stipula (e non più modificabile) anziché sommarlo.

Che la correlazione non ci sia è quindi ovvio. Cerchiamo di capire anche perché non ha logica di esistere. Per farlo bisogna ragionare sui fattori che possono far salire l’Euribor, quelli cioè su cui realmente dovrebbe concentrarsi chi sta pagando un mutuo a tasso variabile.

L’Euribor può salire per due motivi:
1) quando la Bce alza/sta per alzare i tassi che essa governa e che sintetizzano l’andamento del costo del denaro all’ingrosso (le stime indicano un prossimo rialzo di 10 centesimi del tasso sui depositi da -0,4% a -0,3% a settembre 2019);
2) in caso di crisi di fiducia tra le banche che quindi non si fidano a prestarsi liquidità tra loro nel mercato interbancario (come è successo nel 2008, scenario oggi fortunatamente escludibile perché c'è il problema opposto, abbondanza di liquidità interbancaria ed è questa la ragione per cui i tassi sono negativi).

Non ci sono altri motivi, al di là di questi due, che possono muovere al rialzo gli indici Euribor e quindi le rate dei mutui a tasso variabile.

Detto ciò, lo spread BTp-Bund può avere nel medio periodo (circa sei-nove mesi) il potere di spingere le banche ad aumentare i costi dei “nuovi” mutui (ma non di quelli in essere). Questo perché un aumento prolungato dei tassi obbligazionari può impattare sul costo di raccolta del denaro delle banche e sulla gestione della tesoreria. Questo aumento di costi può portare le banche a decidere - e questo dipende anche da scelte di marketing e commerciali - di aumentare in futuro i loro spread, quelli che applicano sui mutui e che ne rappresentano il margine lordo dell’operazione di finanziamento (a cui va aggiunto l’Euribor per calcolare la rata finale del variabile e l’indice Irs per calcolare la rata finale del mutuo a tasso fisso). Ma qui siamo ancora nel campo delle ipotesi. Perché difatti da maggio, da quando lo spread BTp-Bund è più che raddoppiato (da 120 a 300) , per ora gli spread sui nuovi mutui non sono stati modificati e anzi viaggiano ai minimi storici (addirittura azzerati sul fisso e intorno allo 0,7% sul variabile).

In conclusione, ciò che per ora possiamo toccare con mano è che lo spread BTp-Bund non impatta sull’Euribor (e quindi sui mutui a tasso variabile in essere). Può eventualmente in futuro impattare sul costo dei nuovi mutui. Ma per ora questo non è avvenuto. Chi stipula un nuovo mutuo oggi lo fa comunque ai minimi storici.

twitter.com/vitolops

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