Con le sanzioni americane ormai dietro l’angolo, il petrolio iraniano scotta. Ma le esportazioni di Teheran potrebbero essere calate meno di quanto sembra. Le cifre che evidenziano un rapido e vistoso crollo delle vendite cominciano ad essere viste con sospetto da alcuni analisti indipendenti: se non proprio «fake news», appaiono comunque poco fedeli alla realtà.
A complicare le stime contribuiscono le astuzie che la Repubblica islamica è tornata a mettere in pratica per aggirare l’embargo, come aveva già fatto durante l’altra tornata di sanzioni nel 2012/2015: trucchi da prestigiatore – come quello di far sparire le petroliere dai radar spegnendone il transponder – che ha affinato con l’esperienza.
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Un quarto della flotta iraniana di Vlcc (superpetroliere da 2 milioni di barili ciascuna) oggi è invisibile: 9 navi della compagnia Nitc hanno disattivato il sistema automatico di identificazione in mare (Ais), altre 4 mandano segnali discontinui.
Alcune di queste petroliere fantasma sembra che siano riuscite a consegnare greggio ai clienti in modo clandestino, con trasferimenti ship-to-ship in acque internazionali. Una nave secondo fonti Reuters avrebbe scaricato nei serbatoi di stoccaggio del porto cinese di Dalian, dove non sarebbero ancora stati sdoganati, restando quindi fuori da ogni statistica.
«Ci sono molti modi di ingannare», osserva Sara Vakhshouri, presidente della società di consulenza Svb Energy. «Non è facile tracciare tutte le navi intorno al mondo e vedere che per qualche ora due di loro si collegano con un un tubo».
Il monitoraggio non è comunque del tutto impossibile: negli ultimi anni sono nate diverse società che scrutano giacimenti, stoccaggi e spostamenti del greggio con tecnologie di ogni genere, dalla fotografia satellitare ai raggi infrarossi. Il problema è che il progresso non è ancora riuscito a far riconciliare i dati, che possono essere molto diversi a seconda della fonte.
Per S&P Global Platts (che tiene in considerazione anche il greggio su navi fantasma) l’export iraniano si è ridotto a 1,7 milioni di barili al giorno a settembre: un crollo del 12% da agosto e di quasi un terzo rispetto alla media del 2017 (2,5 mbg secondo il Fmi). Reuters stima 1,6 mbg per settembre e 1,1 mbg per la prima settimana di ottobre. Ma c’è chi giudica queste cifre troppo basse e sospetta che vengano usate in modo strumentale, a fini di propaganda.
La polemica sta salendo di livello. «È una vergogna assoluta», twittava ieri Samir Madani, diventato una leggenda tra i trader di petrolio per aver fondato dal nulla TankerTrackers, società che traccia i movimenti del greggio e che vende i suoi servizi a costi stracciati rispetto ai più sofisticati competitor.
Madani è sicuro che l’Iran abbia esportato 2 mbg a settembre e si dice «sconvolto» di fronte alla diffusione senza scrupoli di «una bugia dietro l’altra» sull’andamento delle forniture da Teheran.
Che all’origine delle discrepanze ci sia un inganno deliberato, un errore statistico o l’inadeguatezza dei sistemi di rilevazione, di certo l’enfasi sulla rapida e ingente riduzione dell’export iraniano conviene a molti.
Conviene prima di tutto alla Casa Bianca, che può vantare progressi verso l’obiettivo di «azzerare» le vendite di greggio di Teheran. Conviene ai grandi importatori, visto che Washington ha prospettato un esonero dalle sanzioni solo per chi dimostri di aver ridotto il più possibile gli acquisti. E conviene ai produttori di petrolio: tutti quanti, Iran compreso. L’allarme sanzioni probabilmente è il fattore principale all’origine del rally che ha spinto il Brent ai massimi da 4 anni, fino a un picco di 86,74 dollari la settimana scorsa.
Le turbolenze sui mercati finanziari ieri hanno fatto scendere il prezzo del 2%, vicino a 83 $, benché l’uragano Michael abbia chiuso il 40% della produzione Usa nel Golfo del Messico. Ma il petrolio è comunque in rialzo di oltre il 20% da inizio anno e con questi prezzi l’Iran può sperare di difendere le entrate anche se i volumi esportati si riducono.
Il calo delle vendite non è totalmente «fake». Tra i clienti tradizionali di Teheran molti, in Europa e in Asia, hanno davvero smesso di comprare – o lo faranno ben presto – perché le sanzioni secondarie, che li taglierebbero fuori dal sistema del dollaro, sono una minaccia troppo grande.
Anche il meccanismo alternativo di pagamento studiato dalla Ue non sta decollando. «Non vedo nessuna chance che possa funzionare», ha dichiarato ieri Alex Beard, responsabile Oil & Gas di Glencore.
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