Rusal ha guadagnato un altro mese di tempo dagli Stati Uniti. La piena imposizione delle sanzioni contro il gigante russo dell’alluminio è slittata di nuovo, dal 12 novembre al 12 dicembre.
L’ennesima proroga è un segnale incoraggiante sull’andamento delle trattative con Washington, che ha manifestato la disponibilità a rimuovere le misure punitive purché il gruppo recida ogni legame con Oleg Deripaska.
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Il dipartimento del Tesoro ha spiegato che Rusal ed EN+, la holding del miliardario sospettato di attività anti-americane, «hanno sottoposto al Governo Usa modifiche sostanziali della governance che potrebbero potenzialmente dare luogo a un significativo cambiamento del controllo».
«Mentre è in corso l’esame di queste proposte – prosegue il comunicato – l’Office of Foreign Assets Control (Ofac) estende la data di scadenza delle relative licenze».
In parole povere ci sarà più tempo per tagliare le relazioni commerciali col gruppo russo, ammesso che alla fine sia davvero necessario (l’Ofac si è già ammorbidita, permettendo circa un mese fa a chi è già cliente o fornitore di rinnovare i contratti senza incorrere in sanzioni secondarie).
Allo stesso tempo, anche l’amministrazione Trump può tirare il fiato: la proroga allontana ulteriormente l’eventuale “grazia” a Rusal dalle elezioni di mid term, che si terranno il 6 novembre. Al Congresso sta infatti salendo la pressione per decretare sanzioni più severe contro Mosca e la rimozione del big dell’alluminio dalla blacklist potrebbe essere criticata come un atto di debolezza.
Il caso Rusal è comunque emblematico di come l’arma delle sanzioni rischi di sfuggire di mano. Ed è probabile che anche a Washington molti se ne siano resi conto. Il gruppo è il più grande fornitore di alluminio non cinese, con una capacità di 3,7 milioni di tonnellate l’anno, circa il 10% dell’offerta mondiale, e clienti ovunque. Inoltre è un esportatore chiave di allumina e di bauxite. L’incertezza degli ultimi mesi è già costata cara al mercato.
Pochi giorni fa Bob Dudley, ceo della compagnia britannica Bp (che ha una quota in Rosneft) ha messo in guardia gli Usa dall’utilizzare gli stessi metodi nel settore degli idrocarburi: «Sanzioni contro Rosneft, Lukoil o Gazprom, simili a quelle di Rusal, porterebbero alla virtuale chiusura dell’intero sistema energetico europeo».
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