«La forza dell’Italia è un risparmio privato che non ha eguali al mondo. Per il momento è silenzioso e viene investito in titoli stranieri. Io sono convinto che gli italiani siano pronti a darci una mano». Queste parole, pronunciate dal vicepremier Matteo Salvini, confermano la strategia che il Governo intende mettere in atto per contrastare la speculazione finanziaria sui BTp: compensare i minori investimenti dei fondi stranieri con maggiori acquisti da parte delle famiglie italiane.
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Il problema è che l’incertezza di questi ultimi mesi rischia di far scappare all’estero anche un po’ di famiglie italiane. In parte sta già accadendo: mentre il Governo studia i Cir (incentivi fiscali proprio per favorire l’acquisto di BTp), molte testimonianze raccontano che un’uscita di patrimoni italiani dai confini nazionali è già iniziata. Non stiamo parlando di speculatori. Di Soros. Ma di comuni signori Rossi. Semplicemente - a torto o ragione - preoccupati.
Numeri ufficiali non esistono per descrivere il fenomeno, ma Il Sole 24 Ore ha contattato molti banchieri, private banker e gestori di patrimoni di famiglie italiane. E tutti lo confermano con la loro esperienza diretta: non pochi italiani facoltosi stanno spostando (o anche solo pensando di spostare) una parte maggiore della loro ricchezza fuori dai confini nazionali. Più di quanto non sia già fuori. Per ora non si tratta di numeri importanti. Sia chiaro. Ma l’idea di portare soldi all’estero sta seducendo sia le famiglie ricche (secondo i dati di Aipb rappresentano l’1,5% della popolazione ma possiedono ben 800 miliardi di euro) sia quelle semplicemente benestanti (con patrimoni da 100-200mila euro). Giustificato o meno che sia il timore di alcuni, il fenomeno esiste. E va nella direzione opposta rispetto al «buy italian» auspicato dal Governo.
Secondo Massimo Gionso, consigliere delegato di Cfo Sim, oggi i più interessati ad aprire un conto corrente all’estero sono coloro che vogliono spostare dai 100 ai 200 mila euro. Piccole somme decisamente poco appetibili per le grandi banche. «Molti ci chiedono di portare nel posto più vicino solo la liquidità pagando bolli, tasse e tutto quanto comporti regolarmente un deposito all’estero pur di avere la tranquillità di un luogo sicuro - racconta -. E in 40 minuti si arriva a Lugano. Basta la disponibilità di una carta di credito per prelevare e costi ridotti che arrivano da piccole banche come Bank J. Safra Sarasin, Banca del Sempione, Banca Stato e Corner che fanno condizioni decisamente più convenienti rispetto ai big come Ubs e Credit Suisse».
Secondo altre testimonianze, però, anche chi ha patrimoni più grandi si sta muovendo. «In questi giorni ho concluso due grosse operazioni di questo tipo» segnala un private banker con una rete di clienti titolari di un patrimonio medio intorno al mezzo milione di euro. «A partire da maggio ho ricevuto tante chiamate dai miei clienti preoccupati per l’evoluzione della situazione politica - osserva un altro gestore -. Specialmente i clienti con un patrimonio alto sempre più spesso mi chiedono di aprire un conto all’estero». Perché? Paura di una patrimoniale? «No - spiega - perché un’operazione del genere è tutta sotto la luce del sole e dichiarata nel quadro RW della dichiarazione dei redditi. Chi apre il conto all’estero lo fa per tutelarsi dagli scenari più estremi: quello dell’uscita dell’Italia dall’euro o quello di un blocco dei capitali come accaduto in Grecia o a Cipro. Oppure da una crisi bancaria, a causa dello spread, che possa portare fino al bail-in di qualche istituto». Si tratta di paure forse irrazionali. Ma iniziano a condizionare i comportamenti.
«Il fenomeno è in atto - conferma un alto dirigente di una banca svizzera -. Diversi clienti italiani ci chiamano preoccupati e alcuni di loro spostano parte del loro patrimonio fuori dai confini dell’Italia». Ma c’è anche chi, in base alla sua esperienza, considera il fenomeno ancora marginale: «Al momento non abbiamo nuovi contratti ma solo richieste di informazioni - sottolinea Francesco Fabiani, ceo di Albacore Wealth management – soprattutto da parte di chi ha medi patrimoni tra i 5 e i 10 milioni. I grandi da tempo si sono organizzati lasciando i patrimoni all’estero». «C’è molta incertezza per la situazione politica - spiega un altro gestore - e per tutti lo spettro resta quello dell’uscita dall’euro. È vero che non è nel programma di governo ma l’atteggiamento di sfida potrebbe costringere l’Unione ad accettare l’Italexit per autopreservarsi».
Così c’è chi suggerisce ai propri clienti di aprire conti correnti esteri. Chi va incontro alle richieste della clientela con polizze vita di maxi importo denominate in altre valute. C’è chi fa del «rischio-Italia a zero» una vera e propria strategia per i clienti. Per esempio Stefano Rossi, responsabile Wealth Management di Euclidea Sim. «Sin dalle elezioni di marzo noi abbiamo azzerato i titoli italiani nelle nostre gestioni patrimoniali e, usando una banca depositaria estera, abbiamo un rischio Italia pari a zero. Chi viene da noi lo fa con un’ottica di diversificazione: la nostra offerta è di evitare il rischio Italia». Ripetiamo: il fenomeno non pare essere di massa. Ma esiste.
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