I numeri di bilancio di una società quotata. La loro comunicazione ai mercati è essenziale. Tanto che la legge ne stabilisce
le modalità e i limiti. Spesso, però, quest’informazione non è “market oriented”. Cioè: finalizzata a favorire la comprensione dell’andamento del business da parte degli investitori. Bensì è “marketing oriented”. Vale a dire: realizzata in modo da fare sembrare, soprattutto ad una prima lettura, i risultati migliori di quello che
sono. Sia ben chiaro: non si scrive qui di dati falsati o di notizie non coincidenti con la realtà; qui si parla di furbi accorgimenti che le aziende spesso mettono in campo. Un’attività assolutamente legale all’interno dei paletti indicati, tra le altre cose, nella sezione IA.2.6 delle “Istruzioni al regolamento dei Mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana” del 1 ottobre 2018.
I ricavi e le valute estere
Un primo spunto del fenomeno lo offre, nei comunicati stampa, l’andamento dei dati economici finanziari in un determinato periodo (ad esempio il trimestre) confrontati con quelli del “quarter” precedente
oppure del medesimo arco di tempo ma di un anno prima.
Parità di cambio...
Più in particolare può darsi un’occhiata ai ricavi delle aziende presenti anche sui mercati esteri. Orbene: il fatturato,
in linea di massima, è generalmente costituito dal prezzo di un bene per i volumi (la quantità di beni venduti). Nel caso
del giro d’affari oltreconfine, però, un ruolo importante è recitato dal cambio. Vediamo di spiegarci. Poniamo che nel
primo trimestre del 2018 e nel primo “quarter” del 2017 il cambio tra euro e valuta del Paese A, dove l’impresa italiana è presente, sia stato in media di uno a uno. E stabiliamo che il fatturato generato sempre nel Paese
A abbia raggiunto il valore 100 (10 unità di volume vendute ciascuna alla prezzo di 10) in valuta estera. I ricavi realizzati
nel paese A devono, al fine di essere “inseriti” nel conto economico consolidato della società, essere ridenominati in euro.
Con il cambio di uno ad uno il fatturato sarà iscritto a bilancio con il valore di 100 euro.
...e modifica del “cross”
Poniamo, invece, il caso che nel primo trimestre del 2018 il cambio tra l’euro e la moneta estera del Paese A sia cambiato.
Vale a dire: si assesti in media a 0,885 euro per un’unità di moneta straniera. Il fatturato generato nel Paese A, invece,
è rimasto 100. Cioè: sempre 10 unità di volume vendute al prezzo di 10. Tutto come nel caso precedente, quindi? La risposta
è negativa. Nella ridenominazione contabile in euro, i ricavi consolidati diventano 113. E questo, per l’effetto della variazione
del cambio. E solamente di quello. I volumi nel Paese A, come abbiamo indicato, sono gli stessi di un anno prima. Così come
i prezzi dei beni venduti. Insomma: dal punto di vista strettamente commerciale è cambiato nulla; da quello contabile invece
la situazione muta. A livello di ricavi in euro si avrà: 113 nel trimestre del 2018 e 100 in quello del 2017. Orbene: in una
simile situazione spesso accade che, nel comunicato stampa, viene messo in risalto l’incremento del 13%.
Certo: l’effetto cambio, seguendo le stesse linee generali di norme e regolamenti in materia, è comunque sempre sottolineato.
Inoltre: al di là del comunicato stampa, nei documenti contabili la particolarità è indicata chiaramente. Ciò detto, però,
non può negarsi che non di rado le aziende tendano a fare risaltare il confronto dei dati reported piuttosto che quelli a
parità dei tassi di cambio. Il che non è poca cosa se si pensa che il comunicato stampa è il primo documento che informa sui
dati di bilancio e, spesso, è pubblicato a mercati aperti.
Il “trucchetto” dei dati reported a fronte dell’M&A
Ma non è solamente una questione di valute. Altro fronte rispetto al quale, seppure sempre all’interno di una gestione legale
dell’informazione, le aziende tendono a proporre in un modo “migliore” i propri conti è quello legato alle operazioni straordinarie. Un esempio? L’acquisizione di una società. Anche in questo caso vediamo di spiegarci. Poniamo che l’azienda A acquisti un
importante società B. Inoltre stabiliamo che lo shopping venga formalmente definito il 10 febbraio del 2018. Nella situazione
descritta, anche nell’ipotesi in cui la neoacquisita non avesse una buona redditività, è banale dire che il confronto dei
fatturati tra il primo semestre del 2018 e quello del 2017 dovrebbe immediatamente sottolineare la modifica del perimetro
di consolidamento. Sono peraltro le stesse Istruzioni al “Regolamento dei Mercati Organizzati e Gestititi da Borsa Italiana” a chiederlo esplicitamente. Il motivo è semplice: il fatturato nella prima metà del 2017, non potendo “beneficiare” contabilmente
dell’apporto dei ricavi della neoacquisita, sarà penalizzato nel confronto. Salvo eccezioni il primo semestre del 2018 apparirà,
quindi, in crescita rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E questo magari non perchè la società ha migliorato
la sua performance nelle vendite, bensì semplicemente perchè ha realizzato l’operazione straordinaria. Certo: i gruppi quotati,
da un lato, danno comunque indicazione dell’acquisizione; e, dall’altro, mettono a disposizione il confronto al netto dell’M&A
(cosiddetta crescita su “base organica” o “like for like”). E tuttavia, come nel caso della variabile dei cambi, non di rado
i titoli dei comunicati stampa tendono a dare minore enfasi al confronto “like for like”. Mandano un po’ sullo sfondo l’analisi
organica, il tutto a favore dei numeri cosiddetti “reported”. Cioè: i dati “nudi e crudi” che risultano a bilancio, senza
subire alcuna rettifica. Quei valori “adjusted” che, chissà perchè, diventano di moda quando invece lo scomputo delle voci
straordinarie (negative) può risultare utile. Per carità, lo si ripete: all’interno dei comunicati stampa i vari elementi
sono sempre presenti. Qui non si fa riferimento ad irregolarità. Semplicemente si sottolinea una strada che può essere utilizzata
per spingere il “marking oriented” a discapito del “market oriented”.
Gli indicatori alternativi di performance
Infine non deve dimenticarsi il tema dei cosiddetti indicatori alternativi di performance. Vale a dire: indicatori, non direttamente definiti dalla legge, di cui “press release” e documenti contabili sono imbottiti.
Una mole d’informazione, spesso eterogenea, che non rende così facile la comprensione dei bilanci. Soprattutto al semplice
risparmiatore.
Alcune ricerche sulle società quotate in Europa (Euro Stoxx 50) hanno riscontrato che, tra le varie problematiche, c'è la
diversa metodologia con cui le voci vengono calcolate. Così, ad esempio, è per il debito netto. L’indice patrimoniale, secondo la raccomandazione dell’Aiaf/Effas, dovrebbe risultare dalla somma dei debiti finanziari
di lungo e breve periodo. Cui, poi, sottrarre la cassa e la liquidità equivalente. Ebbene: su di un totale di 24 società analizzate
solo 8 si conformano alla «formula» suggerita dagli analisti finanziari. Le altre, invece, inseriscono ulteriori o differenti
parametri. Sia ben chiaro: qui non c’è un discorso di “marketing” bensì è rilevante la diversa metodologia di calcolo della
voce contabile. Un differente approccio conseguente al fatto che non esiste alcuna definizione cogente di debito netto. Un contesto che, per essere chiari, nuovamente è assolutamente legale. E, tuttavia, si tratta di un contesto che crea
una situazione di disomogeneità la quale, da un lato, impedisce il confronto tra le varie realtà aziendali. E, dall’altro,
può indurre l’azienda a posizionare le carte sul tavolo in modo che appaiano, ad un primo sguardo, migliori di quello che
sono.
© Riproduzione riservata