«Stiamo vivendo un momento di debolezza, ma non una vera fase di ribasso del ciclo economico». Mario Draghi, nell’ultima conferenza stampa alla Bce di fine ottobre, era stato chiaro: il rallentamento economico in Europa - aveva detto - è qualcosa di momentaneo. La settimana scorsa il Bollettino economico della Bce aveva confermato questa visione. Ma venerdì Draghi stesso sembra aver aggiustato un po’ il tiro: in caso di un peggioramento delle prospettive di inflazione - ha detto - la Bce potrebbe valutare «un aggiustamento del percorso previsto per l’aumento dei tassi».
Insomma: se fino a una settimana fa il messaggio della Bce sembrava orientato a tenere i tassi a zero solo fino all’estate del 2019, ora questo scenario diventa un po’ meno certo. La Bce sembra diventata più cauta. O più preoccupata. Per almeno tre motivi. Uno: l’economia europea sembra rallentare più del previsto. Due: il contesto globale è in frenata. Tre: presto le banche europee si troveranno a dover rimborsare i maxi-finanziamenti chiamati Tltro erogati dalla Bce anni fa. In questo contesto chiudere quasi contemporaneamente il quantitative easing (a dicembre 2018), alzare potenzialmente i tassi (in estate) e costringere le banche a dover rifinanziare la prima tranche dei presiti Tltro (giugno) sembra un po’ troppo.
La frenata economica
Il primo motivo che potrebbe indurre un ripensamento della Bce è l’andamento dell’economia. A fine ottobre Draghi sosteneva che il rallentamento in corso fosse momentaneo. E il bollettino Bce di settimana scorsa lo confermava: nell’Eurozona l’occupazione è aumentata dello 0,4% nel secondo trimestre rispetto a quello precedente, il tasso di disoccupazione è sceso all’8,1% (minimo da novembre 2008), il reddito delle famiglie è aumentato spingendo i consumi dello 0,2% nel trimestre, gli investimenti sono rimbalzati nel secondo trimestre (+1,4%).
Il problema è che l’incertezza sul futuro sembra aumentare. Dopo la pubblicazione del Bollettino Bce si è scoperto che la Germania ha chiuso un trimestre di Pil in calo: il primo dal 2015. In questi giorni è aumentata anche l’incertezza su Brexit. Oltre a quella sull’Italia, sempre elevata. Dunque i rischi per l’economia - come pensano alcuni membri del Consiglio Bce - sono sempre maggiori. Come il pericolo che l’inflazione si raffreddi.
Il salasso per le banche
Per di più c’è il capitolo Tltro: cioè l’imminente scadenza del maxi finanziamento da circa 730 miliardi erogato dalla Bce durante la crisi (il 33% dei quali
presi dalle sole banche italiane). La prima tranche scade nel giugno 2020, ma - secondo le regole contabili - già dal giugno
2019 le banche non potranno più includere questo finanziamento nel «net stable funding ratio». Cioè non potranno più usare
i soldi della Bce in scadenza per “rimpinguare” questo parametro che misura la liquidità delle banche nel lungo periodo.
Entro quella data, dovranno dunque emettere obbligazioni per sostituire il finanziamento in scadenza. Calcola JP Morgan che le banche europee dovranno emettere in Europa qualcosa come 170-200 miliardi di euro di bond all’anno. E la quota maggiore è per le banche italiane. Il problema è che, a causa dello spread tra i BTp e i Bund, attualmente è proibitivo per le banche della penisola emettere obbligazioni: da maggio ci è riuscita solo Intesa Sanpaolo in un’occasione. Dunque, se i mercati non si calmassero, qualche problema potrebbe emergere in vista della scadenza del finanziamento Tltro. Quantomeno in Italia.
Le opzioni della Bce
È per questo che il mercato è convinto che la Bce sarà costretta a varare un nuovo prestito Tltro, che sostituisca il precedente
in scadenza in maniera indolore per le banche. E ora si fa strada la convinzione - avvalorata ieri da Draghi - che la Bce
dovrà anche prolungare oltre l’estate del 2019 la promessa di mantenere i tassi a zero. Qualcuno spera anche nel prolungamento
del quantitative easing, ma questo è più difficile. Le prossime riunioni della Bce saranno fondamentali per capire quali saranno
i prossimi passi della Bce.
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