Il futuro di quella che è stata finora l’unica grande alleanza di successo nell’industria globale dell’auto è una questione politica oltre che – e più che - che finanziaria. Non a caso il ministro giapponese dell’Economia Hiroshige Seko sarà oggi a Parigi per discutere con il collega Bruno Le Maire le prospettive dei legami tra Renault e Nissan, diventate incerte dopo il clamoroso arresto a Tokyo del leader Carlos Ghosn, tra infamanti accuse di dichiarazioni mendaci sui suoi compensi e spese pazze personali.
Oggi, 22 novembre, il consiglio di Nissan scaricherà del tutto Ghosn, cacciandolo da presidenza e board, probabilmente a maggioranza dei sette membri votanti (sarà silurato anche Greg Kelly, anch’egli arrestato). Mitsubishi Motors dovrebbe procedere in modo analogo settimana prossima nei confronti del suo chairman. A Parigi, invece, il presidente e Ceo non ha perso formalmente le cariche: è stato solo sostituito ad interim, in ragione della sua impossibilità a operare, da Thierry Bolloré come Ceo e da Philippe Lafayette come presidente provvisorio non esecutivo. Come Le Maire da Seko, Renault attende informazioni dettagliate e spiegazioni: per questo l’azienda «non è in grado di commentare sugli elementi di accusa che paiono raccolti contro Ghosn da Nissan e dalle autorità inquirenti giapponesi». In un memo ai dipendenti, Bolloré ha anche espresso a caldo «pieno supporto» per il suo capo e mentore finito nei guai. La soluzione «ad interim» permette tra l’altro di guadagnare tempo per l’individuazione del prossimo leader permanente dell’azienda e dell’alleanza.
A venire alla luce, intanto, sono gli aspri dissensi strategici che potrebbero aver avuto un ruolo nella repentina caduta del top manager, più ancora della scoperta di utilizzo improprio di fondi aziendali per case sparse in giro per il mondo o di report finanziari edulcorati. I giapponesi nel board, secondo precise indiscrezioni, si sono opposti da mesi alla prospettiva perseguita da Ghosn di una fusione tra le due società, che metterebbe fine al complicato intreccio azionario parziale, diventato con gli anni squilibrato in favore della parte francese. Renault controlla il 43,4% di Nissan, che ha il 15% di Renault senza diritti di voto e il 34% di Mitsubishi Motors. Il 15% della Casa della losanga in mano al governo francese rappresenta una ulteriore complicazione.
Anche dentro il governo giapponese, è filtrato ieri, si paventava che Ghosn riuscisse a mandare il porto una integrazione sotto una struttura di holding che avrebbe probabilmente conferito alla parte francese il controllo dell’entità combinata. Varie circostanze inducono a pensare che a Tokyo si preferisca “ri-giapponesizzare” Nissan, a partire dal top management, ma eventualmente anche con una ridefinizione degli assetti azionari, anziché cedere il controllo sull’azienda e il suo futuro (nonché sulla sua liquidità da quasi 11 miliardi di dollari).
Dietro il caso Ghosn, insomma, non ci sarebbe – o non solo – un irrigidimento della governance spronato da una soffiata interna, ma un’aspra lotta di potere intraziendale e uno strisciante contrasto tra governi. Ne è una spia l’insolita ferocia con cui il ceo Hiroto Saikawa ha scaricato Ghosn in conferenza stampa. C’è chi ricorda che alcuni mesi ha Saikawa aveva “frenato” pubblicamente sull’ipotesi di una fusione: secondo indiscrezioni, Ghosn avrebbe redarguito privatamente l’uomo al quale l’anno scorso ha ceduto la carica di ceo proprio per concentrarsi sull’evoluzione strategica dell’alleanza. Saikawa avrebbe anche curato un approfondimento dei rapporti con il Ministero dell’Economia, rafforzando i timori governativi verso le presunte mire francesi.
Senza esporsi pubblicamente, alcuni dirigenti Nissan hanno già fatto filtrare che la fine infamante di Ghosn rappresenti l’occasione per riequilibrare i rapporti tra le due parti, con l’obiettivo di arrivare anche a una riduzione della partecipazione francese. Il dubbio, a questo punto, è che Ghosn possa essere vittima non tanto o non solo della sua avidità, ma del suo successo nel rilanciare Nissan, passata da partner debole a preponderante - in termini di volumi e profitti - rispetto al socio francese.
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