È evidente che in questa fase gli investitori sono in tensione. Wall Street viaggia sui minimi da 8 mesi e - conti alla mano nella prima decade - rischia di vivere il peggior dicembre degli ultimi 16 anni. Non se la passano bene neppure le Borse europee, scivolate sui livelli più bassi degli ultimi due anni e neppure i listini asiatici con l’azionario cinese entrato a pieno regime in un clima “Orso”, considerato che da inizio anno Shenzen perde il 29% e Shanghai il 22%.
Dai massimi di gennaio (quando la capitalizzazione mondiale delle Borse aveva superato 87mila miliardi) l’azionario globale ha perso oltre 15 miliardi di dollari, quasi quanto il Pil dell’Eurozona per intenderci. In questi momenti gli investitori tendono a spostare i capitali su strumenti finanziari più difensivi, quelli meglio equipaggiati per affrontare le fasi di turbolenza. Tuttavia la mappa dei beni rifugio si sta modificando: dei cinque strumenti accreditati a svolgere questa funzione (oro, Bund, yen, franco svizzero e dollaro) solo tre stanno attraendo gli investitori. Tra questi, l’oro è tornato assoluto protagonista.
Non è un caso che da inizio ottobre - quando è partita l’attuale fase di avversione al rischio che al momento non è dato sapere quando terminerà - l’oro è l’asset che si è apprezzato di più. Il metallo giallo ha messo a segno un rimbalzo del 5%, tornando sui livelli della scorsa estate. Il rialzo dell’oro conferma per due motivi che in questo momento gli investitori hanno paura e stanno visualizzando il futuro come rinchiuso in un bicchiere mezzo vuoto:
1) sia nella precedente correzione di febbraio (quando Wall Street e le Borse europee persero il 10% in tre settimane) che nello storno di agosto l’oro non era stato acquistato ma era addirittura sceso a riprova del fatto che quei ribassi non avevano preoccupato più di tanto gli investitori. L’oro è infatti considerato una sorta di rifugio di ultima istanza. Gli acquisti sul metallo giallo non partono in tutte le correzioni, ma solo in quelle più marcate;
2) a questo giro l’oro è il più comprato tra i beni rifugio nonostante si stia apprezzando anche un altro porto sicuro della finanza, ovvero il dollaro, con la cui quotazione l’oro è solitamente legato da un andamento inverso. Nella norma quando sale il dollaro l’oro tende a deprezzarsi e viceversa. Questo accade proprio perché l’oro è quotato in dollari. Il fatto che nelle ultime settimane l’oro stia salendo nonostante la forza del dollaro rafforza l’idea del pessimismo degli investitori;
Come visto, oltre all’oro sta salendo il dollaro. Il dollar index - un indice che ne sintetizza l’andamento ponderato con le altre principali valute globali - si è rafforzato di quasi due punti percentuali negli ultimi due mesi.
“L’oro è il più comprato tra i beni rifugio nonostante si stia apprezzando anche un altro porto sicuro della finanza, ovvero il dollaro, con la cui quotazione l’oro è solitamente legato da un andamento inverso”
Il terzo asset che conquista la palma simbolica dei beni rifugio preferiti è il Bund. Il decennale governativo tedesco si è apprezzato del 2,2% da ottobre con il rendimento - che viaggia al contrario rispetto al prezzo - sceso allo 0,24%. Gli investitori comprano Bund nonostante la Germania rischi di entrare in recessione tecnica (dopo aver chiuso in calo il terzo trimestre il Pil potrebbe scendere anche nel quarto visto il -10% di vendite accusato dal settore auto a novembre). Evidentemente al momento questi fattori non interessano: conta di più la forza della Germania e il suo ruolo di roccaforte dell’Eurozona, con un avanzo commerciale clamoroso.
Mentre si conferma in fase calante come porto sicuro il franco svizzero che nelle ultime settimane, tanto nei confronti del dollaro quanto sull’euro, non si è apprezzato. Qualche anno fa sarebbe andata diversamente perché lo standing della divisa elvetica come bene rifugio era ai massimi.
Novità assoluta poi di questa correzione è che anche lo yen non si stia comportando come bene rifugio. La divisa nipponica non solo non si è apprezzata, ma da ottobre ha perso un po’ di terreno tanto sul dollaro quanto sull’euro. Se la variazione negativa nei confronti del dollaro la si può spiegare con la straordinaria dforza del biglietto verde - che sta beneficiando delle poltiche di Trump tanto sul tema della guerra commerciale quanto sulla riforma fiscale che avvantaggia le imprese Usa che reimpatriano capitali e quindi “acquistano” dollari - la debolezza dello yen sull’euro in fasi di tensioni finanziarie è un’assoluta novità. Se non per il fatto che lo yen in questo momento sta riflettendo la debolezza dell’economia giapponese, il cui Pil nel terzo trimestre si è contratto dello 0,6%. Anche Tokyo sta pagando i rischi di un contagio in tutta l’Asia degli effetti dello scontro commerciale tra Usa e Cina. Quindi anche la divisa nipponica, per anni considerata il bancomat mondiale degli investitori, è scossa dagli effetti della guerra dei dazi innescata da Trump lo scorso aprile.
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