In questo periodo, tra un tweet del Presidente Usa Donald Trump e una crisi geopolitica, esperti ed investitori spesso non sanno che pesci pigliare. Gli stessi alti e bassi dei mercati non danno una mano. In un simile contesto può essere utile guardare all’analisi tecnica
di alcuni asset per tentare di decifrare la situazione. Soprattutto allungando lo sguardo su un arco di tempo maggiore. La
valutazione di lungo periodo potrà anche non dare spunti per l’immediato, ma consente di cogliere le dinamiche di fondo. Quei
trend più strutturali dei mercati che, essendo simili ad un fiume carsico, vengono troppo spesso dimenticati nelle cronache
quotidiane. Partiamo, allora, da Wall Street.
La dinamica delle azioni Usa
«Nel caso della Borsa statunitense - spiega Silvio Bona, analista tecnico indipendente - il grafico che considera 10 anni mostra chiaramente come l’S&P 500
si sia avvicinato al supporto dinamico di lungo periodo, passante nell’area dei 2.300 punti». Si tratta di una situazione
dove «l’eventuale ripetuta rottura al ribasso di questo supporto può segnalare l’interruzione del trend rialzista partito
nel lontano 2009». Insomma: l’impostazione di fondo del paniere delle 500 maggiori capitalizzazioni Usa è deteriorata. «Un
contesto di debolezza - fa da eco Ivano Menabue, investitore indipendente di lungo corso - che mi sento di confermare».
Tutto questo implica che nel breve periodo assisteremo all’ulteriore discesa del listino? La risposta degli analisti è articolata.
«L’andamento cui abbiamo assistito nel 2018 - sottolinea Menabue - è più propedeutico ad uno scenario che prevede l’erraticità
dell’indice piuttosto che la sua decisa discesa». «Non è escluso -fa da eco Bona- che nella prima parte dell’anno possa
configurarsi anche ad una ripresa dell’S&P 500». Questa visione “ottimista” non è però condivisa da Roberto Camerlingo:
«Solo nell’ipotesi in cui l’indice arrivi nell’area di 2.820 punti - dice l’esperto - avremmo l’inversione di tendenza. Un’ipotesi
difficile da concretizzare. Al contrario è più probabile che, nel primo trimestre del 2019, l’indice realizzi dei minimi
inferiori a quelli che abbiamo visto di recente». Ciò detto Bona e Camerlingo concordano sul fatto che: «i massimi raggiunti
nell’ottobre scorso costituiscono un record che l’S&P 500 è quasi escluso possa replicare». Menabue, dal canto suo, è invece
più ottimista: «Si tratta di valori certamente importanti, ma potrebbero essere nuovamente raggiunti e superati».
Piazza Affari
«Con riferimento al mercato italiano, ed europeo in generale, la situazione è di maggiore debolezza rispetto a Wall Street» dice Camerlingo. «In particolare -
afferma Bona - è interessante notare che il Ftse Mib, sul lungo periodo, si è mosso in un canale laterale che nella parte
inferiore è definito da quota 12.530 punti e in quella superiore dall’area di 24.500 punti». Orbene quest’ultima resistenza,
cioè livello in cui la pressione dei venditori e maggiore di quella dei compratori, è stata “testata” tre volte dall’indice
senza mai romperla al rialzo. «Una situazione che induce a pensare come il Ftse Mib sia indirizzato a “dirigersi” più verso
la parte bassa del canale stesso».
Ciò detto nel breve periodo «l’analisi del numero dei venditori e dei compratori - dice Menabue - induce a pensare, analogamente
a quanto indicato per l’S&P 500, che lo scenario più probabile sia quello dell’erraticità del paniere». Un contesto «di onde
al rialzo e al ribasso che dovrebbe caratterizzare la prima parte dell’anno».
Occhio all’indice della paura
Ma non è solamente una questione di azioni. Altro indicatore interessante da monitorare è il Volatility index (Vix). Cioè:
la misura della volatilità implicita dell’indice S&P 500 calcolata attraverso una media ponderata della volatilità prezzata
dalle sue opzioni. Nel passato, come si vede dal grafico sopra, ogni volta che c’è stato un balzo perentino del Vix la Borsa
ha ritracciato verso il basso. Questo non perchè, come erroneamente si crede, l’incremento della volatilità sia automaticamente
correlato all’inverso dei listini. Piuttosto perchè quando le Borse crescono la loro velocità (volatilità) è normalmente inferiore
a quella di quando scendono ( “il listino sale per le scale e scende con l’ascensore”). Ecco perchè il salto del Vix è di
fatto “legato” ai cali del mercato. Orbene di recente Wall Street è diminuita in corrispondenza del picco del Vix attorno
a quota 36. Successivamente c’è stata una ripresa dei listini con il ritracciamento dell’indice della paura. «È possibile
- dice Bona - che, a fronte di una nuova discesa dell’S&P 500, il Vix rialzi la testa ma senza arrivare al massimo di 36.
Una configurazione che da un lato segnala, statisticamente, l’arresto della caduta delle Borse; e, dall’altro, conferma l’ipotesi
di un andamento laterale dell’indice statunitense nel breve».
Il caro vecchio oro
Quando c’è incertezza tutti pensano subito all’oro. Cioè: uno dei beni rifugio per eccellenza. Attualmente siamo ben lontani dai massimi di oltre 1.900 dollari per oncia. «Ciò
detto - spiega Bona - la commodity è in una fase di potenziale accumulazione che può essere prodromica al suo rialzo». Seppure
non nell’immediato. Di nuovo: l’ipotesi di un andamento non così negativo delle azioni spinge per una situazione in cui il «safe haven» non pare, nel breve periodo, indicare la partenza di un rally. «Bisogna monitorare i livelli intorno alla resistenza di 1.380
dollari per oncia. Nel momento in cui le quotazioni dell’oro superano questa resistenza - aggiunge Bona - l’impostazione diventerebbe
fortemente rialzista».
I rendimenti del Bund e del T Bond
Infine il mondo del reddito fisso. Il grafico sopra, sempre di lungo periodo, indica soprattutto due aspetti. Il primo è la storica discesa dei rendimenti dei titoli di Stato. Un andamento che, in particolare con riferimento al Bund decennale, pare avere toccato il suo punto di livello minimo (tra 15 giugno e il 3 ottobre del 2016 il tasso ha raggiunto il livello negativo massimo dello 0.2%). Il secondo è che dal 2012 la correlazione positiva tra il decennale di Berlino e quello di Washington si è persa. Adesso però l’attesa è che lo spread vada chiudendosi. «Attualmente - spiega Bona- rispetto al Bund siamo in una fase ribassista di breve con il rendimento a 0,168% che costituisce un supporto. Cioè una resistenza per l’ulteriore rialzo della quotazione del governativo» la cui redditvità è nuovamente prossima allo zero. «Un primo segnale di rialzo dello yield, nel medio periodo, si avrebbe solamente superando la resistenza posta a quota 0,8%» conclude Bona.
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