Caos sui nuovi Pir. La legge di Bilancio che regola i Piani individuali di Risparmio di nuova generazione presenta alcune lacune che se non vengono appianate al più presto rischiano di ingessare il mercato di questi prodotti che negli ultimi due anni ha incassato poco meno di 15 miliardi. Un successo decretato dall’interesse delle famiglie italiane sia nei confronti di prodotti nuovi di risparmio che investono in Pmi made in Italy, sia (e soprattutto) per il vantaggio fiscale che questi offrono, se l’investimento viene mantenuto per 5 anni.
Ottocentomila sottoscrittori
Comprensibile come uno strumento dalle caratteristiche simili abbia fatto breccia nei portafogli della metà degli 800mila
sottoscrittori dei fondi comuni italiani, che proprio grazie ai Pir in molti casi si sono affacciati per la prima volta sul
mondo del risparmio gestito (l’investimento medio su questi fondi nel 2017 è stato di circa 13.500 euro).
Ora, con le modifiche previste nel testo della legge di Bilancio 2019 i piani individuali avranno degli obblighi in più: investire il 3,5% del totale sull’Aim (il mercato in cui sono quotate le Pmi ad alto potenziale di crescita) e il 3,5% su azioni o fondi di venture capital. Tutte novità che hanno generato opinioni discordanti tra gli operatori del settore, i quali restano comunque in attesa dei chiarimenti che dovranno arrivare con i decreti attuativi previsti entro 120 giorni. Troppi sia per l’industria del risparmio, sia per gli investitori.
I nodi della legge di bilancio
Secondo quanto risulta a Plus24, in edicola sabato con Il Sole 24 Ore, chi oggi volesse sottoscrivere un piano individuale
di risparmio non lo potrebbe fare, a meno che non lo abbia già acquistato nel 2018 (o nel 2017) e volesse alimentarlo. Diversamente
deve aspettare: non c’è ancora un mercato con prodotti conformi alla nuova normativa. Eurizon per esempio ha bloccato la sottoscrizione
dei Pir e consente soltanto a chi è già titolare di alimentarli con investimenti aggiuntivi. Per il momento, quindi, chi si
affacciasse per la prima volta sul segmento dei Pir, al limite potrebbe comprare quote dei vecchi Pir, ma in questo caso perderebbe
i benefici fiscali, visto che i nuovi, come detto, non ci saranno ancora per un po’di tempo. Anche perché, per come è scritta
la legge, al momento sembrerebbe impossibile istituire dei Pir con i relativi benefici fiscali, visto che il testo stesso
ne subordina la creazione ai chiarimenti contenuti nei decreti attuativi che ancora non ci sono. Da una parte, infatti, il
comma 211 impone che i nuovi Pir costituiti dall’ 1 gennaio 2019 debbano rispettare i nuovi criteri di asset allocation e
dall’altra il comma 215 demanda a un successivo decreto le “modalità e criteri” applicativi della nuova disciplina. Nelle
more di emissione di tale decreto si è quindi creata una situazione di incertezza normativa nella quale in assenza di chiarimenti
ufficiali risulta difficile per gli operatori finanziari proporre l’apertura di nuovi Pir.
Favorire le start-up e le Pmi non quotate
Evidentemente l’obiettivo del legislatore è favorire la crescita del segmento delle Pmi e delle start-up, con un occhio di
riguardo all’innovazione. Una delle critiche che in questi due anni di vita è stata spesso mossa ai piani individuali di risparmio,
infatti, è proprio quella di aver destinato una parte troppo esigua dell’investimento alle piccole medie imprese. Una scelta,
a detta dei gestori, condizionata dall’esigenza di liquidabilità che identifica un fondo aperto, come appunto è il Pir. In
questo senso, quindi, un intervento sui piani individuali era atteso e negli ultimi tempi se n’è parlato parecchio con tutte
le perplessità che questa scelta ha comportato. Nell’inchiesta di Plus24 pubblicata domani si è proprio cercato di capire
come si stia preparando il mercato a questa nuova sfida. Quali siano le criticità, ma anche le potenzialità offerte dalla
nuova veste dei Pir.
Certo con i nuovi vincoli all’investimento il profilo di rischio sarà più elevato, ma il vero timore dei gestori è che l’essenza del fondo stesso possa in qualche modo essere snaturata, come del resto ha sottolineato il direttore dell’Ufficio Studi di Assogestioni, Alessandro Rota, in un’intervista uscita su Plus24 nei giorni antecedenti l’approvazione della manovra. «Con l’obbligatorietà di investire quote minime in fondi di venture capital - ha spiegato -, si rischia di intervenire su uno strumento che funziona per fargli fare quello che non può fare». Insomma i punti interrogativi non mancano e la necessità di fare chiarezza è forte, chiara e con un unico obiettivo: tentare di non fermare un meccanismo oliato, che nonostante l’andamento negativo dei mercati, non ha mai smesso di attirare nuovi flussi di raccolta.
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Perché piacciono le novità
Ma tra i protagonisti del mercato c’è anche chi invece è favorevole alla nuova normativa. «Ben lieti che il Governo abbia
a cuore i Piani Individuali di Risparmio - ha affermato Edoardo Fontana Rava, direttore sviluppo prodotti e modello di business
di Banca Mediolanum -, soluzioni fiscalmente premianti per il risparmiatore che al contempo canalizzano flussi di capitale
verso l’economia reale, quella produttiva delle Pmi, cuore pulsante della nostra economia e del nostro export. Nel merito
della manovra, appaiono coerenti i nuovi strumenti sui quali investire, sia nell’ottica della diversificazione dell’investimento,
sia dell’arricchimento di soluzioni per alimentare il settore delle Pmi. I decreti attuativi sono ora in fase di analisi da
parte degli organi competenti per creare le condizioni di piena applicabilità della norma. Da sottolineare come questa novità
rappresenti un’importante riconferma della validità dello strumento e si ponga in un’ottica di continuità anche per i clienti
che hanno già aderito ai Pir».
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