NEW YORK - La seconda parte della nuova strategia “paziente” e più accomodante della crescita sposata quest'anno dalla Federal Reserve è in arrivo. Parola della stessa Fed, o meglio dei verbali del suo ultimo vertice del 29 e 30 gennaio. Quel resoconto ha rivelato che i banchieri centrali hanno in programma di annunciare al più presto un piano che porrà termine nel 2019 alla riduzione del portafoglio di asset accumulato durante gli anni neri della crisi, cioè subito dopo il 2008, e che è tuttora stimato in quattromila miliardi.
Insomma a essere alle soglie è lo stop non solo ad aumenti del costo del denaro ma anche al rientro dal “Quantitative Easing”, che in omaggio alla protezione della longeva ripresa dovrebbe lasciare nelle cassaforti Fed un “tesoro” di migliaia di miliardi - ben superiore a quello dell’era pre-crisi.
Una decisione sul futuro del portafoglio ha l’obiettivo esplicito di offrire più chiarezza al mercato, ridimensionando nervosismi e rischi di eccessiva volatilità. Se, accanto allo stop delle strette sul costo del denaro, basterà tuttavia a tener vivo il Toro rialzista di Borsa e a sostenere allo stesso tempo una solida crescita o quantomeno atterraggi morbidi dell'espansione, soltanto il tempo - e il tempismo delle prossime mosse o dichiarazioni in uscita dai vertici della Banca centrale - potranno dirlo.
Per ora fanno fede le prese di posizione e le promesse enunciate negli ultimi verbali della Banca centrale. «Un simile annuncio (sul portafoglio Fed, ndr) fornirebbe maggiori certezze sul processo di completamento della normalizzazione delle dimensioni del bilancio della Fed», scrivono esplicitamente i banchieri centrali statunitensi nel riassumere la loro più recente discussione al Fomc, l’organismo decisionale di politica monetaria.
La Fed chiarisce nel suo resoconto anche l’incertezza che regna sul futuro dei tassi e la sua prudenza nello sbilanciarsi. «Molti partecipanti hanno suggerito che non è ancora chiaro quale aggiustamento ai target rate dei fed funds (i tassi interbancari, ndr) potrebbe essere appropriato quest'anno», si legge nell'ultimo documento. Vale a dire che le condizioni economiche e i dati dei prossimi mesi devono ancora determinare quanto sarà duratura la pausa di politica monetaria e quale direzione prenderà una eventuale mossa, se di nuovo rialzo oppure addirittura di taglio del costo del denaro. Dal riassunto del dibattito interno emerge oggi una divisione tra coloro che dentro la Fed credono o meno che servirà una ulteriore stretta, una divisione fondata su divergenze nella valutazione della forza che l’economia, ormai al decimo anno di crescita, saprà dimostrare.
In maggior dettaglio, diversi funzionari Fed «hanno argomentato che rialzi dei tassi potrebbero rendersi necessari solamente se l’inflazione si rivelerà superiore alle previsioni di base», cioè lo scenario considerato più probabile. Altri esponenti hanno al contrario scommesso che la crescita, dopo una frenata attesa nella prima parte del 2019, si rianimerà in seguito e sarà sufficiente a dar adito a nuove strette sul finire del 2019.
Al meeting di fine gennaio la Fed aveva tenuto formalmente a battesimo, nel suo comunicato e nella conferenza stampa del suo chairman Jerome Powell, una strategia che invocava flessibilità non solo sui tassi ma, generalmente, anche nella gestione del portafoglio titoli, fatto di bond e titoli del Tesoro. Il cambiamento che ora viene illustrato in maggior correttezza e precisione era fin da subito apparso significativo. In precedenza, ancora nel vertice di dicembre, la Fed aveva non solo alzato i tassi per la quarta volta in un anno ma indicato di voler mantenere una traiettoria che prevedeva altri due aumenti del costo del denaro nel 2019. Il linguaggio del comunicato Fed, cancellato poi in gennaio, segnalava allora come “appropriati” ulteriori graduali interventi al rialzo sui tassi. Nessun segnale veniva inoltre dato su possibili revisioni dei piani di ridimensionamento del gigantesco portafoglio titoli.
Quel cambio di marcia, orchestrato sotto la leadership di Powell, è stato successivamente confermato ripetutamente da esponenti della Banca centrale e non solo dal suo chairman. Negli ultimi giorni il governatore della sede Fed di New York, John Williams, ha dichiarato che la Banca centrale non effettuerà nuove strette in assenza di inediti segnali di crescita o inflazione. E Loretta Mester, responsabile della sede di Cleveland, ha messo in evidenza una simile posizione citando l’importanza di mantenere sotto stretta osservazione i dati economici.
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