«Sono una persona normale». Così Maria Cannata, per 17 anni responsabile della gestione del debito pubblico al Tesoro, risponde sorridendo a chi le domanda quali superpoteri
siano necessari per gestire il terzo debito pubblico più grande al mondo, con il suo programma di aste lorde che va oltre
i 400 miliardi l'anno, senza uguali in Europa. E' proprio quel suo essere “normale”, anche in situazioni eccezionali, il segreto
di Maria Cannata: per lei il debito pubblico potrà calare ma senza operazioni straordinarie, “il debito/Pil si riduce piano
piano, rispettando anno per anno i target di bilancio, con una politica fiscale che preveda anche investimenti pubblici per
la crescita”.
Nel 1980 Maria Cannata entra al ministero del Tesoro come funzionario statistico e dal dicembre 2000 viene messa alla guida
del debito pubblico italiano. Un incarico che ha svolto con competenza, pragmatismo, con la sua notoria semplicità e sangue
freddo anche durante gli anni della Grande Crisi del 2008-2012. Imprimendo alla gestione del debito pubblico quella dote che
a lei è più cara, e che è anche la più richiesta e apprezzata dai mercati finanziari: l'affidabilità. L'affidabilità , il
frutto che si raccoglie seminando onestà e fiducia.
Asta dopo asta, la “lady del debito” ha attraversato le grandi epoche del debito pubblico, dal divorzio tra Banca d'Italia
e Tesoro alla nascita dell' MTS, dalla ridenominazione dalla lira all'euro, in cui giocò un ruolo preminente, alla creazione
di nuovi titoli, tra cui spiccano il BTP Italia e i BTP nominali extra-lunghi a 15, 20 e 50 anni. Maria Cannata ha portato
in giro per il mondo per quasi un ventennio tutte le tipologie dei titoli di Stato italiani, attraverso road-show intercontinentali
e sindacazioni internazionali, allacciando e rinsaldando continuamente nel corso della sua direzione il rapporto di fiducia
con i big players dei mercati mondiali. Lo ha fatto senza mai perdere di vista i piccoli risparmiatori, i grandi investitori
istituzionali, gli speculatori, traders e hedge fund. Maria Cannata si è conquistata negli anni una fama mondiale: ma non
è solo famosa perché famoso è il debito pubblico italiano, è la sua persona molto stimata in Italia e nel mondo. In pensione
dal febbraio 2018 (non per limiti di età, ci tiene a precisare), svolge ora un'attività consulenziale al Mef come membro del
consiglio degli esperti del Tesoro.
Quali sono i suoi superpoteri per il superdebito pubblico? Quali le sue formule magiche dei suoi modelli econometrici, dei
suoi calcoli delle probabilità e dei suoi algoritmi?
I modelli, econometrici e non, cercano di replicare la realtà, ma la vita reale è sempre più complessa dei modelli. E nessuna
magia: io sono una persona normale. Faccio la spesa, come tutti. Prendo la metro.
Ma non è da tutti ricoprire per 17 anni il ruolo di direttore in Via XX Settembre responsabile al Tesoro della Direzione II
che gestisce l'84% circa dei 2.200 miliardi di debito pubblico. Qual è il segreto del suo successo?
Coerenza, e la fiducia che ne consegue. La fiducia è stata fondamentale. Devi essere credibile, non devi mai raccontare storie.
Sui mercati, se ti presenti con onestà ti danno fiducia. Anche in questo lavoro il rapporto umano resta fondamentale, a mio
avviso.
Anche adesso nell'era degli algoritmi?
L'algoritmo non basta. Il trader sui titoli di Stato è una figura essenziale: ci vuole una persona focalizzata, che segue
continuamente e seriamente lo specifico mercato.
Ma molte grandi trading room sul fixed income, i desk sui “govies”, vengono oramai smantellate. È un fenomeno che può avere
un impatto negativo sui nostri titoli di Stato?
Non solo sui nostri titoli, ma su tutti i governativi in generale. Vero è che la compressione dei costi induce a limitare
il personale dedicato ad attività intense e continuative come il trading, e la tentazione di risolvere tutto solo con la tecnologia
è forte. Inoltre, con le nuove norme prudenziali, le banche non possono più fare, per esempio, quello che hanno fatto nelle
nostre aste al picco della crisi nel novembre 2011, quando gli specialisti si sono esposti e hanno preso grandi rischi sul
loro portafoglio, e per più giorni. A quell'epoca potevano detenere i titoli per qualche giorno in pancia e nel farlo correvano
un rischio che oggi non possono più permettersi: devono per forza appostare collaterale o aumentare il capitale.
Solo le banche italiane si sono così esposte o anche le banche estere?
Le italiane in particolar modo, ma anche le estere. Tutte le banche sono importanti nella gestione del nostro debito pubblico.
I superprimary dealer dei nostri titoli di Stato sono soprattutto istituti stranieri. Gli specialisti devono rispettare obblighi
stringenti sul mercato primario e sul secondario. Essere specialisti è un bel titolo per una banca, accresce la sua reputazione.
Ma non è facile stare in questo club, talvolta si cercano scorciatoie: in passato, ad esempio, alcuni istituti facevano lievitare
i volumi artificialmente, come fosse “panna montata”, per mantenere il titolo di specialista. Quel fenomeno fu bloccato sul
nascere, adeguando i meccanismi di valutazione della performance. Al Tesoro si fa anche questo, controllando e monitorando
la correttezza del comportamento dei primary dealers.
Eppure chi opera sul mercato dei titoli di Stato italiani viene spesso additato come uno speculatore che vuole il nostro male,
uno squalo…
Gli squali non sono certo la maggioranza. Chi acquista i titoli di Stato italiani lo fa perché ha fiducia nel rischio Italia.
Ricordo nel febbraio 2003, durante un road-show negli Usa, arrivai fino a Cedar Rapids, città nell'Iowa, per incontrare il
gestore di un grande fondo. Nevicava forte, fu un viaggio complicato. Trascorsi molto più tempo del solito con questo gestore,
era giovane, aveva una trentina d'anni. Iniziammo a parlare di debito pubblico e poi spaziammo fino a discutere a lungo dei
problemi dell'inquinamento e del cambiamento climatico. Rientrata in Italia, alla prima emissione in dollari successiva vidi
che quel gestore aveva piazzato un ordine da 50 milioni. Ripeto, il rapporto umano è importante.
Ne ha fatti veramente tanti di roadshow internazionali. Che ne pensano del rischio-Italia in Asia?
Poco dopo essere stata nominata direttore della direzione debito pubblico, nel 2001, ricordo che feci un lungo viaggio per
incontrare gli investitori in Giappone, Singapore, Hong Kong e Cina. A quell'epoca dovevi spiegare tutto dell'Italia. Nel
mio ultimo road-show in Giappone, ne sapevano più di noi sull'Italia! In Giappone gli investitori sono molti, in Cina pochi,
ma molto importanti, e fino al 2011 hanno comprato sostanziosamente. Successivamente sono divenuti più tattici e, per meglio
operare sul mercato europeo, hanno aperto uffici a Londra. Comunque, le visite periodiche a Pechino, dove si definiscono le
strategie, restano importanti per la reciproca comprensione.
Come hanno reagito gli investitori esteri quando i nostri titoli di Stato sono stati ridenominati ed emessi in euro?
Prima dell'euro, ai tempi della lira, per vendere i titoli di Stato agli investitori esteri bisognava emettere in valuta estera,
dollari Usa, yen ma anche sterline, franchi svizzeri... e, di norma, il rischio di cambio veniva coperto con derivati.
I derivati nella gestione del debito pubblico hanno iniziato con la copertura contro il rischio di cambio poi sono stati estesi
ai tassi d'interesse e sono state aggiunte talune opzioni, come quella di Morgan Stanley, l'unica che consentiva alla controparte
bancaria la chiusura anticipata unilaterale. Perché il Tesoro ha utilizzato i derivati? Di chi è stata l'idea di usarli? E
lei, che ruolo ha avuto? Qual è il suo commento sulla sentenza di oggi?
Come ben spiegato nel rapporto sul debito pubblico, la cui quarta e ultima edizione è relativa al 2017, e in numerose altre
occasioni pubbliche, allungare la duration del debito, bloccando tassi fissi storicamente bassi, è stata considerata una strategia
prudente e di lungo periodo. Per conseguire questo obiettivo, già dalla seconda metà degli anni '90 si è ricorso ai derivati
di tasso d'interesse, quale complemento dell'attività di emissione. Io ho operato in questa direzione, in continuità con i
miei predecessori. Fino alla crisi del debito sovrano in Europa, l'andamento dei tassi di interesse ha corrisposto alle aspettative,
poi il contesto è radicalmente cambiato: nessuno si attendeva la divaricazione del merito di credito fra i paesi dell'area
Euro, con il drammatico allargamento degli spread, né i drastici mutamenti intervenuti in seguito nella politica monetaria,
con tassi bassissimi e spesso negativi nei paesi core.
Torniamo al rischio di cambio: perché mai emettere titoli di Stato in valuta estera?
Nel 1992-1993 ricordo che fu proprio Mario Draghi (all'epoca direttore generale del Tesoro) a ideare il primo programma di
emissioni in dollari Usa: quelle emissioni, i Jumbo Italy-bond, contribuirono moltissimo all'apertura dei mercati internazionali
al rischio-Italia, a trovare nuovi investitori che altrimenti non avrebbero sottoscritto i titoli di Stato in lire. Ma è indubbio
che sia stato l'euro ad allargare veramente la base degli investitori.
Come è cambiata la gestione del debito pubblico con l'arrivo dell'euro?
La moneta unica europea ha portato in Italia tassi e inflazione estremamente bassi. E questo è stato l'enorme beneficio per
la gestione del nostro debito pubblico: la spesa degli interessi per rifinanziare il debito con l'euro è ora estremamente
più bassa rispetto ai tempi della lira, basta guardare i numeri. Nel 1995 il debito pubblico era circa la metà dell'attuale:
1.151,5 miliardi di euro, e la spesa per interessi di quell'anno arrivò a 109,8 miliardi (l'anno successivo crebbe ancora:
115,6 mld); nel 2018, con un debito di 2.316,7 miliardi di euro, la spesa per interessi è stata pari a 64,9 mld. Ero appena
arrivata al Tesoro quando l'inflazione viaggiava al 20% e i BOT, che costituivano il 65% dell'intera torta dei titoli di Stato,
venivano collocati con rendimenti a due cifre, ma il tasso reale era di poco negativo. Poi divenne positivo, e non di poco.
Erano gli anni delle ripetute svalutazioni e tutti lamentavano la temporaneità dei benefici che ne derivavano, e la fragilità
causata dalla debolezza della lira.
Lei era al Tesoro negli anni '80 e ha vissuto da vicino l'esplosione del nostro debito pubblico…
Il trend negli anni '80 era veramente preoccupante. Ogni anno si sforava il fabbisogno, e lo sforamento in deficit aumentava
il debito. Solo nel 1986 mi ricordo che quasi si brindò perché il fabbisogno fu centrato. Le emissioni del Tesoro, che stava
cercando di riallungare la vita media del debito, cominciarono ad essere assorbite con difficoltà, perché non c'erano prezzi
effettivi sul secondario, e nel 1987 attraversammo una brutta crisi di liquidità: ecco perché nacque l'MTS, il Mercato telematico
secondario dei titoli di Stato, il primo al mondo.
E dal momento che l'ha visto esplodere, il debito/Pil, come pensa che possa implodere, e ridursi per tornare al 60%? La Germania
quest'anno lo farà…
Non credo assolutamente che si possa ridurre significativamente il debito attraverso la vendita di beni pubblici. Le grandi
privatizzazioni sono state già fatte. E' un capitolo quasi chiuso, ormai; resta ben poco da privatizzare, visti i grandi numeri
che servirebbero. Montepaschi? Enel ed Eni, perdendo il controllo di due settori strategici e i considerevoli dividendi che
normalmente queste partecipazioni producono? Il mercato immobiliare italiano, poi, è particolarmente fiacco e gran parte degli
immobili potenzialmente interessanti sono gestiti a livello locale; in ogni caso, il ricavato che se ne può trarre è estremamente
ridotto. Tutto può essere utile, ma su questo fronte non c'è nulla di dimensioni davvero importanti. Il debito/Pil si riduce
per contro piano piano, rispettando anno per anno i target di bilancio, con una politica fiscale che preveda anche investimenti
pubblici per la crescita. Il Belgio ha una burocrazia ingombrante come la nostra, eppure con gli avanzi primari è riuscito
a ridurre l'alto debito/Pil. E poi, ovviamente, è essenziale non perdere mai la fiducia dei mercati.
La fiducia dei mercati … come quando, a maggio del 2018, la curva si è invertita all'improvviso?
Mi ricordo bene. Mi trovavo a Bruxelles, per un convegno della Banca Mondiale. Le agenzie hanno dato la notizia della minaccia
d'impeachment del presidente della Repubblica. C'è voluto un attimo. La curva si è invertita, e questo è un chiaro segnale
di uno shock di fiducia. Non posso dimenticare l'asta dei BOT semestrali di fine maggio: il cover ratio (tasso di sottoscrizione
rispetto all'importo emesso) è stato dell'1,19%, uno dei più bassi di sempre, e con un importo offerto di soli 5,5 miliardi,
il più basso dal 2001 su questa scadenza.
Anche il timore di un ritorno alla lira preoccupa il mercato? Da esperta del debito pubblico, se i nostri titoli di stato
tornassero ad essere denominati in lire, cosa accadrebbe?
Resto trasecolata ogni volta che sento parlare del ritorno alla lira. Ridenominare i titoli di Stato dall'euro alla lira,
arbitrariamente e unilateralmente, violerebbe l'impegno preso con gli investitori, quel patto di fiducia che lega il creditore
al debitore. La valuta di denominazione è un elemento costitutivo essenziale in un investimento. E una volta perso il rapporto
di fiducia con i mercati... Se prendi un impegno con me come debitore, io creditore devo essere sicuro che lo rispetterai.
Ed è davvero illusorio pensare di contenere le conseguenze “nazionalizzando” la base degli investitori. Recentemente, i primi
a mostrare di essere sensibili ai cali di fiducia sono stati proprio i piccoli risparmiatori italiani: l'ultima emissione
del BTP Italia, nel novembre scorso, ha visto una partecipazione retail veramente deludente, solo 843 milioni. E nei giorni
del collocamento lo spread aveva toccato i 320 punti base…
Il BTP Italia resta una grande storia di successo…
Sì, e infatti, con l'eccezione dell'ultima emissione e di quella del giugno 2012 (anche allora lo spread si stava impennando),
ha sempre ricevuto un'ottima accoglienza. Il BTP Italia è un titolo di Stato molto particolare, che ho voluto fortemente in
un momento difficile. E nell'idearlo, ho pensato a quali potessero essere le caratteristiche, sia finanziarie che di facilità
di sottoscrizione, che sarebbero state apprezzate da una persona come me, una persona normale. Il risparmiatore, l'investitore,
sono tutte persone normali che decidono di prestare i loro soldi allo Stato per un motivo semplice: perché hanno fiducia nello
Stato, cioè si fidano di uno Stato che rispetterà l'impegno che si è preso nei loro confronti, pagare puntualmente e integralmente
le cedole e il rimborso del capitale a scadenza; e, ça va sans dire, nella valuta di denominazione (l'euro, nel caso specifico).
Che bilancio fa della sua esperienza come capo del debito?
Complessivamente molto positiva, anche se decisamente stressante. E questo anche per aver goduto negli anni del supporto,
professionale e umano, di tanti miei collaboratori, che si sono spesi con enorme dedizione e professionalità per conseguire
risultati nell'interesse generale, accrescendo la reputazione del nostro Paese a livello internazionale.
@isa_bufacchi
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