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Rendimenti BTp, dai tassi stabili buone notizie per l’Italia

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L'Analisi |la finestra sul cortile

Rendimenti BTp, dai tassi stabili buone notizie per l’Italia

Ken Fisher (Reuters)
Ken Fisher (Reuters)

Avevo recentemente menzionato come il picco dei rendimenti raggiunto lo scorso autunno dai BTp a lunga scadenza avesse contribuito alla recessione dell'Italia, portando le imprese ad attendere un'inversione prima di prendere soldi a prestito e fissare gli oneri finanziari. Ora, con i rendimenti decennali nuovamente inferiori al 3%, le imprese possono ricorrere al finanziamento e sbloccare investimenti a lungo termine. Quindi cosa c'è da aspettarsi per il prosieguo del 2019?

La maggior parte degli esperti ritiene che tale risposta dipenda dalla coalizione di governo, presupponendo che gli sgravi fiscali e il reddito di cittadinanza prospettati da Salvini e Di Maio si tradurranno in deficit elevati – e tassi in crescita. Le turbolenze legate all'indebitamento possono avere un temporaneo impatto negativo sul clima di fiducia – e sui rendimenti – ma questi movimenti, in genere, non durano a lungo. L'impatto, più marcato, dei rendimenti a lunga scadenza dei BTp è più semplice. I mercati azionari e obbligazionari dei Paesi sviluppati sono altamente correlati. Raramente un paese con economia sviluppata va per un lungo periodo in una direzione mentre tutti gli altri paesi vanno nella direzione opposta. I rendimenti dei BTp con buona probabilità seguiranno pertanto quelli del resto del mondo.

I rendimenti globali dipendono dalle aspettative sull'inflazione. Non accade mai che questi crescano rapidamente e poi si arrestino al livello raggiunto senza una ripresa consistente dell'inflazione. L'inflazione, come ci ha insegnato il celebre economista Milton Friedman, dipende dalla crescita dell'offerta di moneta. I prezzi non registrano impennate se l'offerta di moneta non fa altrettanto.
Nessuno dei due casi si è verificato al momento. Mentre l'inflazione è sempre alta in alcuni Paesi e bassa in altri (come in Italia), l'inflazione globale era solamente pari al 2,1% a gennaio. Ciò include tutti i 47 paesi sviluppati e paesi emergenti appartenenti all'indice MSCI All Country World (ACWI), con ciascun paese ponderato in funzione del PIL. I prezzi hanno rallentato a partire dal 2018, quando la crescita dei prezzi del petrolio aveva accentuato l'inflazione. L'inflazione “core” nel mese di gennaio, che esclude i prodotti alimentari e l'energia, si è attestata al 2,0% su base annua, simile ai valori degli ultimi mesi. E quella dell'Italia? Solo 0,6% su base annua. I prezzi sono dunque stabili.

L'offerta di moneta globale non sta correndo. La misura M2, la più ampia a livello mondiale, ha rallentato, registrando una crescita di appena il 6,2% su base annua nel mese di dicembre, inferiore rispetto al 7% su base annua dell'anno precedente. La misura M3 dell'eurozona, più estesa rispetto alla misura M2, di frequente ha superato il 5% su base annua nel 2017. A gennaio si attestava sul 3,9%. La misura M4 britannica, la più ampia, è scesa da un massimo dell'8,7% su base annua nell'aprile del 2017 ad appena il 2,2% a gennaio. La misura M4 statunitense era pari al 4,4% su base annua a gennaio, ma nel gennaio del 2018 si era attestata al 5,0% su base annua.

L'offerta di moneta ha rallentato perché le curve dei rendimenti si sono appiattite. La creazione di moneta deriva in maniera preponderante dalla crescita dei prestiti da parte delle banche, che dipende a sua volta dalla curva dei rendimenti. Le banche si indebitano ai tassi di breve termine, concedono prestiti ai tassi di lungo termine e trattengono la differenza (spread) come margine. Una curva dei rendimenti più piatta implica minor margine su prestiti futuri. Una minore redditività scoraggia il credito, rallentando la crescita dell'offerta di moneta.

Gli Stati Uniti sono i maggiori responsabili per l'appiattimento degli spread della curva dei rendimenti che ha avuto luogo lo scorso anno. La Federal Reserve ha incrementato significativamente i tassi di interesse a breve termine tre volte – con effetti disinflazionistici. Quando gli investitori hanno visto che la Fed conteneva l'inflazione, i tassi a lungo termine sono divenuti molto stabili, crescendo solo di 29 punti base lo scorso anno. Si sono mossi marginalmente nel 2019. Anche le curve dei rendimenti europee si sono un po' appiattite. Così come la curva globale, la più importante. Con l'offerta di moneta globale e l'inflazione innocue, i tassi a lungo termine resteranno contenuti.

Ottimo per l'Italia! Non solo i tassi stabili dovrebbero fornire nuovo impulso agli investimenti, ma il persistente timore tra le persone di tassi di interesse elevati dovrebbe implicare un movimento positivo per la Borsa Italiana.


Ken Fisher, Presidente di Fisher Investments Europe e Presidente Esecutivo di Fisher Investments

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