Si avvicina la scadenza del 30 marzo della Brexit e sui mercati si fa sentire la pressione sulla sterlina in vista del nuovo voto del Parlamento britannico, previsto per domani, sull’accordo per l’uscita negoziato dalla premier Theresa May. Accordo già clamorosamente bocciato lo scorso 15 gennaio. Questa mattina la sterlina è in netto calo rispetto alle sue principali controparti essendo scesa fino a 1,2953 dollari (nuovo minimo dal 19 febbraio) e 1,1525 euro come non accadeva dal 29 febbraio. Qui le quotazioni del cambio dollaro-sterlina ed euro-sterlina.
Intanto la Bank of England si prepara a gestire eventuali turbolenze finanziarie che potrebbero verificarsi in vista della scadenza dei termini. Stando a quanto riporta il Financial Times la banca centrale britannica avrebbe chiesto ai principali istituti del Paese di triplicare il valore degli asset facilmente liquidabili (tipicamente titoli di Stato ad alto rating) in vista di eventuali tensioni di mercato correlate all’addio (con o senza intesa con l’Ue) della Gran Bretagna all’Unione europea.
Stando alle fonti consultate dal quotidiano della City ad alcune banche sarebbe stato chiesto di dotarsi di asset liquidabili per un controvalore tale da gestire un credit crunch finanziario stile Lehman della durata di 100 giorni invece dei 30 normalmente previsti dalla normativa, in vigore dallo scorso anno, introdotta della Prudential Regulation Authority della Banca centrale britannica.
La Bank of England ha previsto da tempo che, in occasione della scadenza di fine mese sulla Brexit, ci possa essere forte volatilità sui mercati. Soprattutto se dovesse esserci un’uscita senza accordo (il temuto no-deal). Il tema della liquidità delle banche è cruciale nella gestione di eventuali turbolenze legate al materializzarsi dello scenario peggiore le cui conseguenze rischiano di essere imprevedibili. Ad oggi le banche britanniche hanno in bilancio titoli “liquidi” per mille miliardi di sterline.
I requiditi di liquidità richiesti variano da banca a banca e sono confidenziali. Tuttavia è probabile che gli istituti maggiormente coinvolti, per via del loro modello di business, siano Barclays e Royal Bank of Scotland. Altri istituti che si finanziano prevalentemente attraverso i depositi della clientela e hanno un modello di business più tradizionale con meno attività negli investimenti e nella gestione dei patrimoni, come Lloyd’s Banking Group e Nationwide, potrebbero in teoria essere meno esposti alle nuove regole sulla liquidità.
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