Pace fatta tra i giganti dell’oro. Barrick Gold ha rinunciato alla scalata ostile da 18 miliardi di dollari con cui puntava a conquistare Newmont Mining, accettando invece di creare una joint venture nel Nevada (Stati Uniti), dove entrambe le società aurifere possiedono attività rilevanti: tanto rilevanti che l’aggregazione delle loro miniere nello Stato consentirà comunque di creare – senza bisogno di una fusione – il maggior produttore di oro del mondo, con un output di oltre 4 milioni di once l’anno e riserve di 48 milioni di once.
Anche le sinergie saranno tali da competere con quelle che sarebbero state generate da un merger. Gestire in modo unitario gli impianti del Nevada farà risparmiare 500 milioni di dollari l’anno nei primi cinque anni e 5 miliardi nel giro di vent’anni, contro i 7 miliardi stimati per un piena integrazione tra i due gruppi.
Per sotterrare l’ascia di guerra in apparenza è bastata una cena. Mark Bristow, il nuovo ceo della canadese Barrick, e Gary Goldberg – che invece sta per cedere a Tom Palmer il timone della statunitense Newmont – martedì scorso si sono seduti a tavola all’hotel Four Seasons di New York. I colloqui tra i vertici delle società sono proseguiti a Toronto giovedì e domenica sera a Elko, cittadina nel cuore del distretto aurifero del Nevada, c’è stata la firma dell’accordo.
In realtà per arrivare a questo punto, dopo oltre vent’anni di relazioni difficili tra i due gruppi, si è rivelata fondamentale l’influenza di alcuni grandi azionisti. Tra questi Van Eck e Flossbach von Storch, che possiedono quote importanti di entrambe le società e si erano apertamente schierati a favore della «soluzione joint venture», meno impegnativa e meno rischiosa di una megafusione.
È lo stesso Bristow ad ammettere di aver «ascoltato gli azionisti e concordato con loro che questo è il modo migliore per realizzare l’enorme potenziale» delle miniere del Nevada. Dietro le quinte anche altri soci di peso, come Blackrock, hanno probabilmente fatto sentire la loro voce.
Il primo passo verso una soluzione pacifica l’aveva fatto Newmont, che – dopo aver rifiutato con toni polemici l’offerta di Barrick – aveva rilanciato offrendole il controllo e la guida di una jv nel Nevada. L’intesa definitiva assegna in effetti ai canadesi il ruolo di operatore e il 61,5% della nuova società, dunque più del 55% inizialmente proposto da Newmont, anche se la partecipazione riflette il peso degli asset di ciascuno, perché gli statunitensi alla fine non conferiranno la miniera Cripple Creek & Victor nel Colorado.
Newmont si “accontenta” del 38,5%, ma in compenso ora ha mani libere nel perseguire l’acquisizione di Goldcorp, che Barrick era determinata a mandare a monte: il deal da 10 miliardi di dollari tra meno di un mese verrà sottoposto al voto dell’assemblea degli azionisti.
La febbre da M&A nel settore aurifero intanto prosegue. Un altro big dell’oro, l’australiana Newcrest Mining, ha rilevato per 806,5 milioni di $ da Imperial Metals il 70% di Red Chris, una miniera di rame e oro in Canada con interessanti prospettive di sviluppo.
Il ceo di Newcrest, Sandeep Biswas, non esclude ulteriori acquisizioni: «In termini di bilancio – ha dichiarato alla Reuters – siamo ancora ampiamente nei nostri parametri finanziari e se viene fuori qualcosa che ci interessa di certo non vediamo restrizioni».
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