Mentre il Parlamento e il governo inglese non riescono a decidere quando e come uscire dall’Unione Europea a 8 giorni dalla scadenza cruciale del 29 marzo, l’ultimo Financial Brexit Tracker di EY mette in guardia sui rischi della Brexit per la City di Londra, stimando in oltre mille miliardi di sterline il valore degli asset che potrebbero essere spostati dalla capitale inglese e 7mila posti di lavoro persi. Una cifra che è stata rivista al rialzo di 200 miliardi di sterline dall’ultimo report dello scorso trimestre e riguarda banche, fondi di investimento, società di brockeraggio, compagnie di assicurazioni monitorati da EY dal giugno 2016 dopo il referendum che ha sancito l’uscita del paese dall’Unione Europea.
Da allora 23 società finanziarie tra quelle monitorate hanno annunciato il trasferimento dal Regno Unito verso l’Europa «senza specificare il valore degli asset spostati», si legge nel report di EY. In generale, le società finanziarie, in particolare il settore bancario il più colpito dalla perdita dello status e soprattutto del passaporto con cui operare in Europa hanno già pianificato lo spostamento di parte degli asset e dello staff in Europa.
Con l’avvicinarsi della scadenza del 29 marzo e nonostante l’incertezza che ancora oggi regna su questa data, le società si stanno preparando agli scenari estremi, compreso il «no-deal», bocciato la scorsa settimana dal Parlamento inglese. La stessa Fca (Financial Conduct Authority), la Consob inglese non ha escluso rischi per i mercati: «Non possiamo escludere una certa volatilità» nel caso non venga raggiunto un accordo, ha detto questa mattina Nausicaa Delfas direttore di FCA . «I rischi sono legati principalmente al trasferimento delle imprese e agli accordi con la UE».
Da questa mattina la Premier inglese Theresa May è a Bruxelles per discutere la richiesta di una estensione dell’articolo 50 fino alla fine di giugno.
«Nel caso in cui il Regno Unito lasci l’Unione europea senza un accordo, le società finanziare sono pronte ad adottare piani di emergenza per attenuare quanto possibile l’impatto sulle loro attività e sui loro clienti» ha commentato Omar Ali, capo dei servizi finanziari di EY avvertendo che «ci sono rischi difficilmente prevedibili e fuori dal controllo del settore finanziario. Nessuna società può sapere con certezza quale sarà l’impatto di una Brexit “disordinata” non solo su di sé. ma anche sui clienti e soprattutto sulle catene di approvvigionamento, in generale sull’economia del Regno Unito».
Secondo le ultime cifre ufficiali di Downing Street, l’uscita del paese dall’Europa senza un accordo potrebbe avere ricadute sull’economia inglese tra il 6,3% e il 9% nei prossimi 15 anni.
Mentre la data fatidica del 29 marzo si avvicina, il governo per venire incontro al malcontento del settore finanziario ha concesso una serie di autorizzazioni temporanee per le imprese europee che operano alla City e a sua volta l’UE ha accettato un periodo transitorio di due anni per le clearing house britanniche.
Oltre agli asset finanziari, ci sono le perdite sull’occupazione che il report di EY stima in 7mila posti di lavoro “traslocati” verso il Continente: posizioni ad alta remunerazione, spesso di vertice con stipendi nella fascia superiore alle 150mila sterline, con ricadute fiscali per le casse dello Stato stimate in 600 milioni di sterline. EY non esclude anche perdite sull’IVA e sulle imposte societarie.
Ad avvantaggiarsi di questa incertezza finora è stata l’Europa che dall’avvio della Brexit ha visto la creazione di almeno 2mila posti di lavoro nel settore finanziario: la piazza di Dublino è quella più popolare tra i banker e le law firm, davanti a Francoforte, Lussemburgo e Parigi mentre salgono altre città entrate nel mirino dei fuoriusciti dalla City di Londra tra cui Milano, Madrid, Amsterdam e Bruxelles.
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