Lo scenario per il minerale di ferro, materia prima dell’acciaio, continua a rimanere molto incerto. A quasi due mesi dal disastro della diga di Broumadinho, che ha ucciso circa 300 persone in Brasile, la mineraria Vale è stata costretta dalla magistratura a ridurre sensibilmente la capacità produttiva, al punto che alcuni analisti hanno ipotizzato che il mercato mondiale del ferro si sposterà in deficit di offerta quest’anno.
La situazione è comunque estremamente fluida, con nuove sentenze e ordinanze da parte delle autorità brasiliane che si susseguono quasi con cadenza giornaliera, complicando ogni previsione.
Ieri il mercato ha reagito in modo euforico alla notizia che Vale potrebbe riaprire la sua miniera più grande nel Minas Gerais, quella di Brucutu, da 30 milioni di tonnellate l’anno, che aveva dovuto sospendere le operazioni a inizio febbraio. Le minerarie concorrenti – tra cui Bhp, Rio Tinto, AngloAmerican e Fortescue Metals – hanno registrato forti ribassi in Borsa e il prezzo del minerale di ferro è arrivato a perdere il 6% a Dalian in Cina.
Tuttavia non è affatto chiaro se e quando Brucutu potrà davvero essere riavviata: il via libera da parte di un tribunale locale non basta, se non arriveranno presto anche i necessari permessi dal ministero dell’Ambiente.
Appena ventiquattr’ore prima peraltro Vale era stata costretta a sospendere l’utilizzo di altre due dighe di contenimento dei rifiuti minerari, una delle quali era impiegata anche per Brucutu.
Un ulteriore freno alle attività di Vale è inoltre arrivato dalla chiusura, ordinata venerdì scorso per motivi di sicurezza, di un’altra miniera: Timbopeba, con una capacità di 12,8 milioni di tonnellate l’anno.
La società brasiliana continua a sostenere di poter parzialmente compensare le perdite nel Minas Gerais accelerando le operazioni in altre aree del Paese, ma non ha mai quantificato i volumi aggiuntivi che sarebbe in grado di estrarre.
Fare previsioni non è facile e gli analisti non sono unanimi: la produzione di minerale di ferro di Vale, a seconda dei punti di vista, potrebbe subire una riduzione tra 50 e oltre 80 milioni di tonnellate quest’anno.
Il prezzo della materia prima – pur restando elevato – ha comunque rallentato la corsa, ripiegando intorno a 85 dollari per tonnellata sul mercato spot cinese. A inizio febbraio si era spinto sopra 90 dollari, ai massimi da 5 anni.
I consumi nell’industria siderurgica non sono particolarmente forti e le scorte nei porti cinesi si stanno accumulando, grazie alle maggiori esportazioni di altre minerarie, soprattutto dall’Australia.
Il rallentamento dell’attività economica – particolarmente accentuato in Europa, ma che riguarda molte aree del mondo, compresa la Cina – sta del resto frenando anche i consumi di acciaio, contenendo i rialzi di prezzo del metallo nonostante i rincari delle materie prime.
Le forniture di minerale di ferro dal Brasile, ancora in crescita fino al mese scorso, intanto hanno iniziato a diminuire: l’export nelle prime due settimane di marzo è stato in media di 1,29 milioni di tonnellate al giorno, in calo del 10% rispetto a febbraio e rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
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