Tornano gli acquisti sui BTp da parte dei grandi investitori istituzionali. Un primo segnale lo si è visto a gennaio con i 22 miliardi netti di BTp comprati dai fondi esteri certificati da Bankitalia. Un’ulteriore conferma arriva dall’ultimo rapporto di State Street, una delle maggiori banche depositarie al mondo con 10mila miliardi di asset in custodia.
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Analizzando l’evoluzione del portafoglio della clientela nel corso del primo trimestre di quest’anno gli analisti della banca hanno registrato flussi di investimento sopra la media per i BTp. Un riposizionamento dei grandi fondi sull’Italia che - si legge nel rapporto - c’è stato «nonostante il rallentamento dell’economia ponga seri dubbi sulla sostenibilità dei conti pubblici del Paese».
Evidentemente il tema fiscale è passato in secondo piano rispetto a quello monetario. La decisione della Fed di rinviare la stretta sui tassi e della Bce di varare nuovi stimoli (i finanziamenti agevolati Tltro per le banche) hanno favorito una maggior propensione al rischio sui mercati e ciò ha favorito i BTp così come i Bonos spagnoli anch’essi molto gettonati.
Il fatto che il “caso Italia” non sia più al centro delle cronache finanziarie ha favorito un calo della volatilità anche se le brusche oscillazioni dello spread che ci sono state nel corso del 2018 continuano tuttavia a tenere alla larga dal debito italiano molti gestori come spiega François-Xavier Chauchat, capo economista di Dorval Asset Management: «Ci sono molti fondi che, quando decidono su quali titoli investire, tengono conto di criteri come la liquidità o la volatilità media degli ultimi 12 mesi. Nel caso dell’Italia entrambi questi indicatori restano piuttosto alti. Non escludo tuttavia che se il contesto di mercato dovesse restare favorevole si possano ridurre favorendo così nuovi acquisti da parte dei grandi investitori». Questa perlomeno è la scommessa del gestore che è molto positivo sull’Italia ed è convinto che i rendimenti dei BTp possano scendere sotto il 2%.
Più cauto Antonio Cesarano, capo Strategist di Intermonte SIM: «Ciò che è successo nel primo trimestre - spiega - non è altro che un ribilanciamento dei portafogli. Il mercato per tutta la seconda metà del 2018 è stato sottoesposto sui BTp (gli investitori esteri hanno venduto circa 70 miliardi di titoli italiani da aprile in poi ndr) e ha colto l’occasione per tornare a comprare». Secondo Cesarano ci sono tre fattori di incognita che potrebbero raffreddare l’ottimismo degli investitori sull’Italia nei prossimi mesi: il pronunciamento di Standard & Poor’s sul rating dell’Italia in programma il 26 aprile; le elezioni europee di maggio; i dettagli sul nuovo piano di Tltro che la Bcecomunicherà il prossimo 6 di giugno. «Se i finanziamenti agevolati al settore bancario avranno vincoli poco stringenti è lecito ipotizzare che le banche possano utilizzare parte dei finanziamenti della Bce per comprare BTp e ciò potrebbe favorire il calo di rendimenti e spread. Viceversa è lecito aspettarsi un trend opposto».
Se in termini di flussi (ossia di nuovi acquisti di BTp) c’è stato un exploit, in termini di stock (cioè di controvalore effettivamente detenuto) l’esposizione dei grandi fondi resta inferiore alla media dell’ultimo quinquennio fa notare Francesco Lomartire, responsabile SPDR ETFs Italia (gruppo State Street): «Perché lo stock di titoli italiani detenuti dagli investitori istituzionali possa tornare sui livelli medi dell’ultimo quinquennio è necessario che il trend visto in questa prima parte dell’anno si consolidi ulteriormente».
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