I dazi Usa sulle auto sono rinviati, ma nel cielo della siderurgia europea si sta comunque formando una «tempesta perfetta» che rischia di riportare il settore in «grave crisi» dopo meno di due anni di relativa stabilità. L’allarme dei produttori Ue, rappresentati da Eurofer, arriva proprio mentre il prezzo del minerale di ferro – uno dei principali ingredienti dell’acciaio – continua a correre, superando la soglia dei 100 dollari per tonnellata per la prima volta dal 2014.
La materia prima è rincarata di quasi il 40% quest’anno e ieri c’è stata un’ulteriore impennata fino a 100,4 dollari secondo le rilevazioni di S&P Global Platts sul mercato spot cinese, che fanno da benchmark in tutto il mondo.
Ancora una volta sono le forniture dal Brasile a tenere il mercato sulle spine. Vale ha allertato le autorità del possibile imminente crollo di un’altra diga di contenimento dei residui minerari nello Stato del Minas Gerais, una struttura poco lontana e molto simile a quella di Brumadinho, che a gennaio aveva ceduto uccidendo almeno 270 persone. La società, primo produttore mondiale di ferro, da allora ha dovuto chiudere numerose miniere, tanto che il mercato rischia carenze di offerta.
Ma i rincari del ferro dipendono anche dalla Cina, che in barba ai dazi americani continua a sfornare quantità crescenti di acciaio: la produzione è ai massimi storici (85 milioni di tonnellate ad aprile) e se continua a questi ritmi nel 2019 supererà per la prima volta l’asticella del miliardo di tonnellate. Montagne di acciaio, che solo in parte vengono utilizzate in patria, dove pure ci sono consumi solidi grazie agli stimoli all’economia introdotti dal Governo. Il surplus finisce all’estero, in gran parte in Europa.
Il costo «alto e volatile» delle materie prime – non solo il ferro, ma anche il carbone metallurgico, che vale più di 200 dollari per tonnellata, e i permessi per l’emissione di CO2, di nuovo sopra 25 dollari/tonnellata e vicini ai massimi da 11 anni – è solo uno dei rischi denunciati da Eurofer.
Le altre insidie per l’industria siderurgica del Vecchio continente derivano in gran parte dalle guerre commerciali che gli Usa hanno ingaggiato con la Cina e il resto del mondo, attenuate solo in minima parte dalla revoca dei dazi su acciaio e alluminio per Canada e Messico, decisa ieri.
Fa paura il rallentamento della crescita economica, che induce l’associazione a prevedere una contrazione dello 0,4% dei consumi Ue di acciaio nel 2019 (forse peggio, con l’automotive nel mirino di Trump). E fa paura il dumping – dei cinesi e non solo – che si è fatto particolarmente aggressivo dopo i dazi Usa e contro cui Bruxelles secondo Eurofer ha adottato misure di salvaguardia troppo deboli.
Le nostre acciaierie, denuncia Axel Eggert, direttore generale dell’associazione, hanno perso ulteriori quote di mercato l’anno scorso, perché «in un mercato Ue che è cresciuto del 3,3% (in termini di consumi di acciaio, ndr), le importazioni sono aumentate del 12,6% e le consegne a livello domestico solo dell’1,7%».
Nell’ultimo trimestre 2018 la situazione era già drammatica: le vendite sul mercato interno sono calate del 2,1%, mentre l’import è aumentato del 16,3% su base annua. Quest’anno, se la tempesta perfetta non si allontana, rischia di andare peggio.
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