Ancora tagli alla produzione di acciaio in Europa. Ad annunciarli, per la seconda volta in meno di un mese, è ArcelorMittal, il gigante siderurgico che possiede anche l’ex Ilva. L’Italia solo in apparenza non è toccata dalle misure, legate alla crisi sempre più grave in cui sta precipitando il settore: per lo stabilimento di Taranto è infatti rinviata la prevista accelerazione dell’attività, che in teoria dovrebbe portare l’output a 6 milioni di tonnellate entro il 2020.
«L’aumento slitta al prossimo anno – ha affermato nella città pugliese Mattheiu Jehl, amministratore delegato di ArcelorMittal Italia – Quando ci siamo insediati in questo stabilimento la produzione era sui 4,5 milioni di tonnellate, nel secondo trimestre di quest’anno siamo passati a 5 milioni e il prossimo anno contiamo di aumentare a 6 milioni».
I tagli veri e propri, che nell’annuncio di ieri non sono stati quantificati, riguarderanno invece le acciaierie di Dunkirk in Francia e di Eisenhuttenstadt in Germania. Sempre in Germania verrà inoltre estesa una fermata per manutenzione dell’impianto di Brema, prevista per il quarto trimestre.
Gli stop si aggiungono a quelli pianificati all’inizio di maggio, che riguardavano acciaierie in Polonia (Cracovia) e in Spagna (Asturie), per un totale di 3 milioni di tonnellate di capacità produttiva.
«Questa è di nuovo una decisione difficile per noi, ma dato il livello di debolezza del mercato pensiamo che sia una linea di azione prudente», si è giustificato Geert van Poelvoorde, che guida la divisione acciai piani di ArcelorMittal Europe. «Si tratta di misure temporanee, che verranno revocate non appena le condizioni del mercato miglioreranno», ha aggiunto il manager.
Le condizioni dell’industria siderurgica nel Vecchio continente stanno comunque precipitando in fretta, avverte Eurofer, che all’indomani delle elezioni europee è tornata a sollecitare un «vertice d’emergenza» tra le istituzioni Ue e le imprese del settore, per trovare «soluzioni rapide in grado di fermare la crisi prima che le cose diventino ancora peggio di quanto già siano».
«Negli ultimi mesi – denuncia Eurofer – c’è stato un improvviso e netto peggioramento delle prospettive per l’industria europea dell’acciaio», che ora si trova ad affrontare una «crisi acuta», con gravi impatti sull’occupazione: i posti di lavoro «a rischio immediato» sono già oltre 10mila, che salgono ad almeno 100mila contando l’indotto.
Arcelor non è l’unica a sentire la crisi. La settimana scorsa British Steel ha portato i libri in tribunale, vittima a suo dire della Brexit, che ha ridotto gli ordinativi di acciaio e imposto costi extra per la partecipazione al mercato dei diritti sulle emissioni di CO2.
Pochi giorni prima c’era stato il fallimento del piano di fusione delle acciaierie europee di ThyssenKrupp e Tata Steel, che mette probabilmente a rischio altri impianti. Il gruppo tedesco ha anticipato che senza il merger dovrà licenziare 6mila addetti.
A mettere sotto pressione il settore in Europa dopo due anni di relativa stabilità è un insieme di fattori concomitanti, che Eurofer una decina di giorni fa ha definito una «tempesta perfetta»: non solo l’economia sta rallentando (e con questa i consumi di acciaio) ma le guerre dei dazi hanno accentuato l’invasione di prodotti cinesi nel Vecchio continente, un fenomeno contro il quale le misure di salvaguardia adottate da Bruxelles si sono dimostrate insufficienti. A tutto questo si somma il forte rialzo dei prezzi delle materie prime impiegate in siderurgia, dal minerale di ferro al carbone da coke, e quello dei diritti per la CO2.
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