Un mondo (finanziariamente) capovolto. Il valore dei bond che oggi esprimono tassi negativi (dove paradossalmente il debitore è pagato dal creditore) è vicinissimo a quota 12mila miliardi di dollari. Siamo a un passo dal record di tutti i tempi traguardato nel giugno 2016 quando la massa dei bond sottozero raggiunse i 12.168 miliardi. Dopo quel picco il quadro si è andato lentamente normalizzando e il controvalore delle obbligazioni negative è sceso fino ai 6mila miliardi dello scorso settembre. Da allora però gli equilibri si sono nuovamente rotti e queste obbligazioni che sfidano le leggi della finanza sono rapidamente raddoppiate, riportandosi in appena nove mesi nuovamente a ridosso del guinness.
Nel frattempo la capitalizzazione mondiale dei bond ha raggiunto il massimo oltre 53.500 miliardi. Quindi, di tutti i bond in circolazione (governativi e corporate), ad oggi un quinto dei titoli sul mercato è sprofondato nelle sabbie mobili dei tassi negativi. Senza dimenticare che ci stiamo riferendo ai tassi nominali. Se invece passassimo a quelli reali, depurati per l’inflazione, scopriremmo sottozero una percentuale decisamente più elevata considerando che in Europa solo Italia e Grecia oggi pagano tassi reali positivi e nel resto del mondo è “rimasta” una buona manciata di Paesi emergenti.
Come mai siamo caduti in questa singolarità (prima del 2009 i bond sottozero non esistevano) che tra l’altro rende complicato oggi estrarre valore dagli investimenti, considerando che chi compra un titolo sicuro si trova a pagare l’emittente anziché ricevere un interesse? «I motivi sono essenzialmente due - spiega Antonio Serpico, senior portfolio manager european fixed income di Neuberger Berman -. Le incertezze geopolitiche, si veda la guerra dei dazi, che alimentano la volatilità sui mercati e il clima di risk-off. A cui si va ad aggiungere il contemporaneo rinnovato atteggiamento accomodante delle banche centrali».
Non a caso il primo scatto degli acquisti sui bond - che ha spinto al ribasso i rendimenti che si muovono in direzione opposta ai prezzi - risale allo scorso autunno, quando i mercati, temendo un rallentamento della crescita globale, si sono posizionati su un clima di avversione al rischio. Di conseguenza sono partiti gli acquisti sui beni rifugio e molti capitali sono finiti sui Treasury statunitensi e sul Bund tedesco, considerati porti sicuri durante le fasi di tempesta.
L’acquisto di obbligazioni ha trovato poi nuova linfa a inizio anno quando a sorpresa il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, ha ribaltato la direzione di politica monetaria auspicando «prudenza» sui tassi. Una parolina magica che ha cancellato le aspettative di almeno 1-2 rialzi nel 2019 innescando un nuovo calo dei rendimenti dei Treasury. Sempre Powell ad inizio giugno ha alzato l’asticella trasformando quella «prudenza» in «possibili tagli». Così rapidamente gli investitori si sono posizionati in un sentiero di 3-4 manovre espansive (quindi di 75-100 punti base) nell’arco dei prossimi 12 mesi. E questo ha spinto il rendimento dei Treasury a 10 anni al 2,07% (a inizio anno era al 3%), livelli che non vedeva dal 2016. Nel frattempo il rispettivo Bund ha toccato il minimo di tutti i tempi (-0,26%).
«Quando si muove il Treasury il resto del mercato non rimane alla finestra - sottolinea Andrea Iannelli, investment director per l’obbligazionario di Fidelity international -. Esiste una forte correlazione tra Treasury e Bund. Se poi aggiungiamo il potere che negli ultimi 10 anni hanno rivestito le banche centrali possiamo comprendere come le curve dei tassi stiano precipitando. A tal proposito basti ricordare - prosegue Iannelli - che la Bce è ad oggi, anche se non dovesse implementare un secondo Qe ma solo reinvestire i titoli in portafoglio che vanno in scadenza, il primo gestore mondiale di bond europei».
La caduta dei tassi ha coinvolto anche bond della periferia dell’Eurozona con nuovi record al ribasso in Spagna (0,55%) e Portogallo (0,62%). L’Italia sta cogliendo solo in parte i vantaggi (in termini di minori interessi da pagare per finanziarsi) di questo treno: i BTp (ieri al 2,38%) sono sì scivolati di 31 punti base da inizio anno (e di 20 da inizio giugno) ma restano più cari di 130 punti base rispetto a maggio 2018. Inoltre molti investitori non sono così convinti che i BTp abbiano molta forza, viste le incertezze stimate in autunno con la nuova legge di bilancio da far passare in Europa.
«Manteniamo un atteggiamento di cautela in termini di esposizione sull’Italia - spiega Mark Kiesel, cio del credito globale di Pimco - perché siamo in presenza di un tasso di crescita molto basso, di una composizione demografica negativa e di un elevato rischio politico». Sempre Kiesel prevede che la prossima recessione, che potrebbe arrivare nell’arco di 3-5 anni, colpirà prima l’Europa e poi gli Stati Uniti. In questa direzione ieri le aspettative di inflazione a 5 anni (e per i successivi 5) nell’area euro, sono scese all’1,23%. Si tratta del dato più basso da quando esiste l’Eurozona che indica allo stesso tempo che la Bce è molto lontana dal suo obiettivo statutario (portare il livello dei prezzi vicino al 2%).
Prospettive di inflazione calante fanno il paio a quelle di un rallentamento dell’economia. E sono un ulteriore ragione per cui i tassi dei bond stanno calando, mettendo pericolosamente l’Eurozona, molto più degli Usa, di fronte a quella trappola della liquidità con cui il Giappone combatte, senza successo, da oltre 20 anni.
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