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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2013 alle ore 08:27.

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Non c'è traccia di ripresa per l'economia marchigiana. Eppure anche dietro gli ultimi stop all'industria regionale (-2,8% la produzione nel primo trimestre 2013, su base annua, -3,2% le vendite, -1% l'occupazione) sembra stia prendendo forma un'inusuale vitalità di giovani talenti e una riscoperta da parte di imprese, università e istituzioni del ruolo delle nuove generazioni per traghettare il manifatturiero in panne verso un futuro all'insegna del green, dello smart, delle specializzazioni e, soprattutto, della contaminazione tra saperi grazie a innovazione condivisa e reti. «Non si può ripartire senza i giovani», è l'imperativo di Nando Ottavi, alla guida di Confindustria Marche.

La sua generazione di imprenditori ha trasformato questo piccolo lembo d'Italia da agricolo a manifatturiero, ma, dice, «spetta ai giovani di oggi la rivoluzione per portare la manifattura tradizionale alla frontiera 2.0 e sulle piazze mondiali. Dobbiamo, però, spianare la strada: credito e burocrazia sono macigni che soffocano ogni scintilla imprenditoriale». Bandi e voucher per l'inserimento di giovani country ed export manager nelle aziende stanno raccogliendo domande oltre ogni aspettativa, così come le misure per l'assunzione di ricercatori. «I soldi sono ancora pochi – aggiunge Ottavi – ma resta il fatto che il 25% delle imprese marchigiane esportatrici sta andando bene, che l'export è cresciuto di un altro 6% anche nel 2012, sopra le media italiana, e che ci sono ampi margini per incrementare non solo le esportazioni hi-tech e ad alto contenuto di servizi specialistici, ma anche il made in Marche più tradizionale».

E se le calzature restano il simbolo dell'artigianalità adriatica che traina la domanda internazionale, mobili, meccanica e, ancor più, elettrodomestici hanno perso appeal dal 2007 a oggi. A preoccupare è il fatto che, nonostante i 38 milioni di euro messi in gioco dalla Regione con l'accordo di programma per riqualificare l'entroterra appenninico (stremato dalla débâcle del "bianco" fabrianese) e incentivi che coprono fino al 75% degli investimenti, non c'è stata ressa di aspiranti imprenditori. Un dato distonico rispetto al germogliare di incubatori e di start-up nelle frontiere hi-tech, da Jesi Cube ai nuovi acceleratori in fieri tra Pesaro e Ascoli. È forte la paura di non riuscire ad arginare l'emorragia di aziende (quasi 1.500 ditte chiuse nei primi tre mesi dell'anno) e di occupazione (5mila posti di lavoro in fumo in 90 giorni).

La rotta indicata dai bandi pubblici punta su smart specialization, distretti culturali, sulla riscoperta di agricoltura e agroalimentare, con la stessa Confindustria impegnata da oltre un anno in un progetto di promozione integrata per portare il brand Marche sulle tavole oltreoceano. Ottavi sostiene che occorre lavorare a rete su obiettivi specifici, «noi in Confindustria per primi, sono troppe cinque territoriali, sono troppe quattro università per un milione e mezzo di abitanti. Così come erano troppe tre fiere con il risultato che oggi, proprio per l'incapacità di dialogare superando i campanilismi, siamo rimasti senza un expo». Tuttavia le Marche sono al sesto posto(con appena 1,5 milioni di abitanti e 175mila imprese) nella graduatoria nazionale per numero di contratti di rete (52) e aziende coinvolte (159). Ed è di questi giorni la firma del contratto di rete tra i confidi industriali della regione e Confidicoop per rafforzare il sistema di garanzia e fare da argine al problema del credito. «Un tassello fondamentale per far ripartire gli investimenti», conclude Ottavi. Oggi un'azienda su tre, in regione, fa ricorso a un consorzio fidi, dato record in Italia anche se non è bastato a impedire il calo di prestiti bancari al manifatturiero (-8% nel giro di un anno, secondo Unioncamere).

Un quadro aggravato dai timori di perdere la "marchigianità" dell'unico vero istituto regionale, Banca Marche, schiacciato da 518 milioni di euro di rosso nel bilancio 2012. «Come Regione stiamo facendo la nostra parte – interviene il presidente della Giunta marchigiana, Gian Mario Spacca – per sostenere il lavoro e rafforzare liquidità, credito e investimenti. Abbiamo rifinanziato anche quest'anno con altri 3 milioni il fondo di garanzia regionale e supportato, con bandi e voucher, assunzioni, internazionalizzazione e innovazione delle imprese. Sono, però, convinto che il vecchio modello manifatturiero marchigiano reggerà ancora per molti anni, grazie all'appeal del nostro made in nella fascia alta del mercato mondiale, soprattutto in Russia e Far East». L'export dei distretti marchigiani, conferma il Monitor Intesa Sanpaolo, è cresciuto nel 2012 per il terzo anno consecutivo, a doppia cifra in Asia e Russia, mentre il peso dei mercati maturi sulle vendite estere è sceso dal 60 al 50 per cento.

«Un manufacturing potenziato dalle smart specialization e affiancato dai nuovi business delle applicazioni informatiche, dell'energia, del green – dice il presidente – e lo sviluppo del connubio tra agricoltura, turismo e ambiente, saranno la nostra carta vincente. Abbiamo i numeri per poter quintuplicare l'incidenza del turismo sul Pil (oggi fermo a un 4%, ndr) ma bisogna fare squadra, riorganizzare produzioni e servizi a rete e in questo senso il confronto con il mercato internazionale sta diventando lo sprone a superare l'atavico individualismo». «Non si può continuare a immaginare le Marche del 2020 come terra di mobile, meccanica, calzature e non sto dicendo che perderemo il manifatturiero, ma che non è su questo che dobbiamo puntare. Gli imprenditori devono cambiare paradigma», è invece tranchant Giuliano Calza, direttore generale dell'Istao, la business school di Ancona dedicata ad Adriano Olivetti impegnata da quasi mezzo secolo nel diffondere la cultura economica e lo sviluppo imprenditoriale sul territorio.

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