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Nella filiera una chiave di sviluppo

Filiera è la parola d'ordine dell'agroalimentare italiano. L'unica strategia per puntare a un livello di competitività in linea con i grandi competitor mondiali. Una filiera strutturata e perfettamente integrata consente di non disperdere quote di valore aggiunto, un handicap avvertito soprattutto dall'agricoltura e dall'industria di trasformazione.
Secondo l'ultimo rapporto AgrOsserva di Ismea e Unioncamere su 100 euro di spesa in prodotti agricoli freschi solo 22,50 euro finiscono nelle tasche degli agricoltori. E ancora più squilibrato è il rapporto per i prodotti trasformati: in questo caso su 100 euro l'utile netto dell'azienda agricola è di 40 centesimi, 2,3 euro vanno all'industria e 11 al commercio.

Spesso è un percorso a ostacoli anche il rapporto tra i due primi anelli della catena. Da un lato un'agricoltura che lamenta di essere strangolata da prezzi sempre più bassi e costi in salita, dall'altro un'industria che, a volte, non riesce a ottenere prodotti rispondenti ai requisiti richiesti. Ma è chiaro a tutti che solo la filiera potrà dare la spinta a un settore che comunque ha molte opportunità. L'agroalimentare, con 132 miliardi di fatturato, è il secondo settore del Paese, ed è soprattutto l'export il vero motore (26,4 miliardi nel 2013 con un incremento di quasi il 7% sull'anno precedente). Non a caso, il salone Cibus di Parma (5-8 maggio) si preannuncia da record. Poi ci sarà l'Expo 2015 di Milano: un'occasione per compiere un salto di qualità. L'altra leva è la nuova Politica agricola comunitaria che ha tra i suoi asset la valorizzazione degli organismi interprofessionali.
Per il presidente della Confagricoltura Mario Guidi, che è anche coordinatore di Agrinsieme (la struttura costituita con Cia e Alleanza delle cooperative agroalimentari), la «filiera non è stata praticata fino in fondo». La scelta di creare un coordinamento con la cooperazione va in questa direzione perché «la cooperazione va più vicina all'obiettivo saldando al suo interno produzione, trasformazione e vendita». Il presidente di Confagricoltura lancia un monito: «dobbiamo ancora crescere in termini di educazione al concetto di filiera, che significa – spiega – produrre con finalità specifiche in coerenza con i bisogni dell'industria in una logica di moltiplicazione del valore. Gli agricoltori sono ancora la parte debole e nelle filiere privatistiche scontano uno scarso potere contrattuale e bassa riconoscibilità». Alla base della costruzione c'è l'interprofessione, un sistema di regole che «salda» il campo alla tavola. Si tratta di regole oggi da rivedere, che hanno funzionato in alcuni settori, meno in altri. I cereali sono indietro, l'ortofrutta fatica. «Un modello – afferma il numero uno di Confagri – è il bieticolo-saccarifero, l'interprofessione ha funzionato bene anche se il settore è stato massacrato dalla decisione di smantellamento di Bruxelles».

«Siamo ancora indietro - conferma il neo presidente della Cia, Dino Scanavino, - per questo bisogna puntare sulle Organizzazioni dei produttori, sulle coop, ma anche su strumenti innovativi, come, per esempio, le reti d'imprese, una formula ancora poco diffusa in agricoltura. In questo modo si può testare la capacità di aggregazione, una prova generale che può sfociare poi nella cooperazione».

Uno strumento che potrebbe aiutare poi sono i contratti di filiera. Il Governo, tra i primi atti del suo insediamento, ha finanziato un nuovo bando (il terzo) con uno stanziamento di 197 milioni per sette nuovi progetti: «il problema – dice ancora Guidi – è sburocratizzare».
La Coldiretti sostiene invece la «sua filiera», quella che ha portato il prodotto agricolo direttamente al consumatore attraverso i farmer market. Nei mercati degli agricoltori, secondo uno studio dell'organizzazione, nel 2013 hanno fatto la spesa 15 milioni di italiani con un aumento del 25% in un solo anno, ma a crescere notevolmente è stato anche il valore medio degli acquisti. La vendita diretta, secondo i dati dell'organizzazione agricola, fattura circa 1,5 miliardi. Il sistema costruito dalla Coldiretti coinvolge 28mila agricoltori con prodotti coltivati su 280mila ettari (+40% nell'ultimo anno).

«I nostri mercati degli agricoltori – afferma il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo – stanno creando nuove economie e nuova occupazione, rappresentando nel contempo uno strumento di coesione sociale, animazione ed educazione alimentare. Senza dimenticare l'ottimo rapporto prezzo/qualità». Con la rete di vendita e il marchio Fai (Firmato agricoltori italiani) la Coldiretti punta a far recuperare valore aggiunto alle imprese agricole. Dalla pasta al riso, dall'olio extravergine all'ortofrutta per finire ai salumi e al latte a lunga conservazione sono tante le filiere in vendita col bollino. In questo quadro rientra il progetto Voi - Valori origine italiana, di «Iper, La grande i», Coldiretti e Fai. «Il must – sottolinea Moncalvo – è il prezzo giusto di vendita e un valore equo riconosciuto all'agricoltore».

Federalimentare, l'associazione che rappresenta l'industria italiana, segnala le difficoltà a fare filiera anche per «scompensi» interni al settore. L'industria alimentare, che assorbe il 72% dei prodotti agricoli nazionali, ha avuto in questi anni un andamento anticiclico con un calo della produzione dello 0,7% nel 2013 più contenuto rispetto alla flessione del 3% dell'industria nel suo complesso.

«Il segreto della sua tenuta negli ultimi anni – dichiara il presidente di Federalimentare, Filippo Ferrua Magliani – sta nel prestigio del made in Italy alimentare. Eppure, su di esso è in atto una campagna mediatica molto ben congegnata per farci del male da soli. Sembra che i prodotti dell'industria alimentare italiana non siano sicuri e che i prodotti che non impiegano per intero materie agro-zootecniche italiane non siano meritevoli di dichiararsi made in Italy». Critiche che Federalimentare rispedisce al mittente perché – sostiene con forza Ferrua Magliani - «il 20% dei quasi 400mila dipendenti dell'industria alimentare italiana è dedicato ai controlli di processo e di prodotto. Il settore considera la sicurezza un prerequisito irrinunciabile. Un esempio in Europa e nel mondo. Non a caso alcuni fenomeni lamentati in anni trascorsi, come la mucca pazza e la crisi aviaria, sono stati tutti di importazione».

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