Impresa & Territori IndustriaLe raffinerie e l'indotto arrancano
Le raffinerie e l'indotto arrancano
di Jacopo Giliberto | 30 luglio 2014

Da pochi anni non è più così. Gli Stati Uniti hanno saputo estrarre lo shale oil e lo shale gas dalle rocce di scisto. Il Paese è diventato autonomo e comincia a esportare. I bassi costi dell'energia disponibile in quantità importanti hanno permesso di costruire nuove raffinerie immense, e di far marciare con utili interessanti perfino le raffinerie più piccole. I prezzi di vendita dei prodotti raffinati negli Usa sono stracciati.
Raffinerie enormi sono nate in Medio Oriente, dove il petrolio costa pochi spiccioli al barile. E nei Paesi di nuova economia, come Cina e India. Il mondo è invaso da carburanti a prezzi competitivi. I grandi impianti italiani non riescono più a esportare.
Le raffinerie italiane hanno lasciato l'acceleratore della produzione scendendo molto sotto l'80% del tasso classico di utilizzo degli impianti. Dopo avere ridotto nel 13% negli ultimi cinque anni, l'Eni, fortissima nei giacimenti, stima una riduzione del 22% della capacità di raffinazione entro il 2017 e una svalutazione degli attivi in bilancio per 600 milioni.
Gilotti dell'Unione petrolifera dice che in questi tre anni dalla raffineria al consumatore sono stati bruciati 4 miliardi di euro. Nella primavera scorsa gli impianti nazionali hanno rallentato del 5,1% (16,3 milioni di tonnellate) rispetto a un anno fa. Secondo la Filctem-Cgil sono a rischio 6mila dei 22mila addetti dell'intero comparto petrolifero. Se le esportazioni non sono più la risorsa, il mercato interno non assorbe l'eccesso di produzione. Gli italiani sono i più automobilizzati d'Europa con 620 macchine per mille abitanti e – come osserva uno studio accuratissimo condotto dal centro ricerche Ihs per conto dell'Unione petrolifera – «il mercato automobilistico è saturo». Un mercato saturo e con meno soldi da spendere per viaggiare.
«In Italia ci si aspetta una razionalizzazione della capacità di raffinazione intorno a 250mila barili al giorno entro il 2030 (circa il 13% della capacità attuale). Nell'Europa del Sud si attende una razionalizzazione intorno ai 650mila barili al giorno di capacità di raffinazione e in Europa complessivamente una riduzione della capacità di circa 800mila barili», affermano gli analisti dell'Ihs. Cioè l'Italia rappresenta quasi un terzo di tutte le raffinerie da tagliare in Europa. «Un quadro di crisi strutturale del settore generalizzato e temo irreversibile», protesta Alessandro Gilotti. Come evitare che ciò accada? Diverse le soluzioni alternative al solito tavolo negoziale. Rafforzare il settore stappando le considerevoli riserve di giacimenti nazionali, bloccati dal luddismo del no alle perforazioni. Agevolare gli investimenti, soprattutto togliendo burocrazia. Rendere meno esigenti i vincoli ambientali futuri, già oggi i più inquisitori del mondo. Facilitare l'associazione consortile fra più imprese e più raffinerie, evitando di imporre concetti antitrust provinciali a un settore globalizzato.