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Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2014 alle ore 13:18.

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Troppe centrali elettriche in Italia. Molte di quelle tradizionali, la maggior parte delle quali alimentate a gas metano, andrebbero chiuse in tempi rapidi. Moltissime, fino a un quarto della potenza complessiva. Il messaggio lo lancia, con un po' di prudenza ma con molta chiarezza, il viceministro allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti in un convegno a Milano.

Poche illusioni, la grande crisi non passa e il sistema elettrico italiano deve smettere di sperare nella risalita dei consumi come panacea per i suoi mali. Che non riguardano solo i costi aggiuntivi determinati dal poco carbone, dalla rinuncia al nucleare e dalla sudditanza pressoché totale dal gas metano. Il difetto strutturale, che non si riesce proprio a sanare, è appunto nella sovracapacità determinata la corsa alla costruzione di nuove centrali degli ultimi 15 anni sull'onda della liberalizzazione. Il resto lo ha fatto la corsa alle energie rinnovabili, benedetta da molti punti di vista ma causa di un pesante effetto boomerang proprio sulle centrali che bruciano le fonti fossili.

Schiudere e sfoltire? Forse sarà indispensabile. Anche se si dovrà tener conto di una serie di altolà che non riguardano solo la consistenza ma anche l'efficienza complessiva del sistema elettrico. Gli analisti di Bip Consulting, ad esempio, nei mesi scorsi hanno alzato il velo sui problemi di bilanciamento tecnico del nostro sistema elettrico, minato sì dalla sovracapacità ma non del tutto affidabile, nella sua rete di governo e di distribuzione, rispetto agli improvvisi picchi di richiesta. Sfoltire, ma razionalizzando: anche De Vincenti la pensa così.

La sfida dell'export
Il sistema di produzione di energia termoelettrica italiana dovrà comunque attraversare «un processo di riduzione della capacità governato, privilegiando gli impianti più efficienti e per quanto possibile rilasciando l'export della nostra elettricità. Questo perché - incalza De Vincenti - la combinazione di efficienza energetica e rinnovabili ci fa pensare che la domanda di energia rispetto al sistema termoelettrico potrà riprendere ma con ritmi limitati». E «dalla sovracapacità si esce - spiega il viceministro - completando il mercato interno» e rilanciando le esportazioni, tenendo conto che «abbiamo un settore termoelettrico a gas di grande efficienza che può essere messo al servizio di tutta l'area europea». Ma anche nella migliore delle ipotesi sarà indispensabile «un processo di riduzione della capacità governato, privilegiando gli impianti più efficienti in modo che il futuro sia nelle mani degli impianti più flessibili per dare sicurezza al sistema».

Le cifre parlano chiaro. Il nostro Paese - puntualizza l'amministratore delegato di Terna, Matteo Del Fante, in un'audizione alla commissione industria del Senato - ha raggiunto un margine di riserva di generazione elettrica di ben 24,8 gigawatt rispetto a 1,3 GW di 10 anni fa passando da una capacità disponibile reale (al netto delle manutenzioni e comunque dei fattori di indisponibilità) cresciuta in un decennio da 54,4 78,7 GW a fronte di una domanda di punta è rimasta pressoché invariata passando da 53,1 a 53,9 GW.
Cinquemila megawatt di riserva sono necessari e accettabili, forse qualcosa di più. Ma non certo 25 mila. Si dovrà sfoltire.

Rilanciare intanto le interconnessioni con l'estero per incrementare l'interscambio come auspicato da De Vincenti ? Terna promette di fare la sua parte. Ma anche qui la crisi economica sprona la ricerca di soluzioni, ma allo stesso tempo costituisce un ostacolo. Un esempio: i lavori per il mega-cavo tra Italia Montenegro. L'amministratore delegato di Terna conferma che il progetto procede, anche se «dal lato della produzione il quadro non si è evoluto con la stessa velocità prevista in sede di sottoscrizione degli accordi intergovernativi» e dunque «bisogna fare attenzione all'efficienza dell'investimento stesso».

Convergenze sindacati-imprese
Sulla crisi della nostro termoelettrico e sui riflessi occupazionali si mobilitano anche i sindacati. L'istituzione di un tavolo permanente per la programmazione energetica è stato chiesto al ministero dello sviluppo dai segretari generali della federazione dei lavoratori elettrici di Cgil, Cisl e Uil. Che avvertono: la metà dei 100mila lavoratori elettrici italiani è a rischio. I sindacati chiedono in particolare di rendere più competitivo il nostro sistema di generazione, anche in vista delle opportunità di esportazione della nostra elettricità, rivedendo il mix dei combustibili, incentivando la chiusura degli impianti meno efficienti , promuovendo l'uso dell'elettricità nei settori dove lo sviluppo tecnologico garantisce vantaggi ormai evidenti. Ad esempio nella climatizzazione domestica e nella mobilità elettrica, come del resto auspicano le organizzazioni imprenditoriali del settore.

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