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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2014 alle ore 15:02.
L'ultima modifica è del 20 ottobre 2014 alle ore 17:04.

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Si alza un altro velo sui metodi utilizzati dagli imprenditori cinesi di Prato, con l'aiuto di esperti “consulenti” italiani, per assicurarsi manodopera a buon mercato da impiegare nel grande distretto etnico degli abiti low cost (due miliardi di giro d'affari per il 50% sommerso) e sfuggire ai controlli delle forze dell'ordine. Dopo i falsi certificati di residenza (inchiesta di fine 2013, arrestati quattro cinesi e quattro italiani tra cui una funzionaria dell'ufficio anagrafe del Comune), arriva ora una valanga di false buste-paga: almeno 80mila quelle scoperte dalla Guardia di Finanza di Prato, che sono servite a mille aziende cinesi attive nella città toscana per ottenere permessi di soggiorno destinati a centinaia e centinaia di propri lavoratori provenienti dal Paese del Dragone. A fornire le buste-paga falsificate erano tre italiani – il titolare di uno studio di elaborazione dati e due consulenti del lavoro – che operano in via Pistoiese, la strada-simbolo della Chinatown pratese. Erano loro a dare (a pagamento) i consigli “furbetti” agli imprenditori orientali per aggirare le normative e i controlli. “Uno scenario inquietante”, ha chiosato il comandante della Gdf pratese, Gino Reolon.

L'inchiesta, avviata due anni fa e coordinata dalla Procura di Prato, è la più importante mai realizzata in questo campo. Anche per le forze utilizzate: 200mila le intercettazioni telefoniche effettuate, 200 finanzieri in azione provenienti da vari comandi per eseguire 50 perquisizioni in Toscana, Campania, Veneto, Piemonte e Umbria. Venti gli indagati – 17 imprenditori cinesi attivi nel settore abbigliamento e i tre contabili-consulenti italiani – accusati di favoreggiamento dell'immmigrazione clandestina e, a vario titolo, di false dichiarazioni sull'identità o qualità personali, violazioni delle disposizioni relative all'immigrazione, favoreggiamento personale (per aver incentivato l'anonimato dei cinesi), mendacio bancario (per aver predisposto la falsa documentazione servita per ottenere linee di credito).

“Le indagini hanno fatto luce su un consolidato sistema criminale, finalizzato al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina all'interno del distretto pratese e, di riflesso, a una completa evasione della normativa contributiva e fiscale”, sottolinea la Guardia di Finanza di Prato. L'evasione fiscale stimata finora è di 10 milioni di euro.
Ma il sistema, come ha spiegato il sostituto procuratore Laura Canovai, ha messo in evidenza – se ce ne fosse stato ancora bisogno – il mancato dialogo tra i vari enti preposti ai controlli, e le rispettive banche dati. Gli imprenditori cinesi, infatti, utilizzavano le false buste paga (che dichiaravano stipendi sufficienti al sostentamento economico richiesto per ottenere il permesso di soggiorno) per presentare le pratiche all'ufficio immigrazione della Questura, ma le sostituivano con altre – di importo assai inferiore – quando si trattava di mostrare il costo del lavoro all'Agenzia delle entrate. E, dato ancora più sconcertante confermato dall'inchiesta, è che (quasi) mai il titolare delle mille aziende cinesi controllate è risultato reperibile: nella stragrande maggioranza dei casi a guidare l'impresa era infatti un prestanome (come avvenuto anche alla “Teresa Moda” incendiatasi il 1 dicembre 2013 causando la morte nel sonno di sette operai cinesi).

Un problema in più per i nascenti controlli straordinari nelle aziende cinesi di Prato, Pistoia e Firenze avviati il 1 settembre scorso dalla Regione Toscana con una spesa di 13 milioni di euro: su 170 imprese controllate finora (sulle 7.700 manifatturiere dell'area, di cui 4.000 a Prato), 27 (il 15,9%) sono risultate in regola sul fronte della sicurezza del lavoro; 114 le prescrizioni, sanzioni amministrative e segnalazioni effettuate all'autorità giudiziaria; 18 le imprese sequestrate; un imprenditore cinese arrestato e 99 le informative di reato inviate alla procura. Il limite dei controlli è rappresentato dal fatto che in tema di evasione fiscale e contributiva e di illegalità lavorativa gli ispettori regionali fanno solo segnalazioni agli uffici competenti.

Infine, un ufficio su cui lo “scenario inquietante” delineato nel distretto cinese produrrà effetti è quello Immigrazione della Questura di Prato: prima le indagini di un anno e mezzo fa sulle false residenze (che servivano per ottenere false carte d'identità), ora quelle sulle false buste paga, hanno messo in luce che una bella fetta dei permessi di soggiorno rilasciati a Prato non avranno più basi su cui reggersi. “L'indagine non è finita, gli effetti a catena, nel momento in cui l'ufficio immigrazione ricontrollerà tutti i permessi, potranno essere strepitosi”, prevede la procura.

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