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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2014 alle ore 12:22.
L'ultima modifica è del 31 ottobre 2014 alle ore 12:49.

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In termini tecnici la deflazione si interrompe. Ma la sostanza in fondo non cambia. Anche se dopo due mesi consecutivi di calo l'indice dei prezzi registrato dall'Istat inverte la rotta, si tratta di un magro aumento dello 0,1%, sia su base annua che mensile. Un dato inferiore alle media Ue, dove il rialzo dei prezzi è un poco più sostenuto, pari allo 0,4%.

Scomponendo il dato in Italia, anche se gli alimenari ritrovano un magro segno più, si scopre che ancora una volta il comparto dei beni è in rosso, trascinato verso il basso dalla frenata tendenziale dei prezzi dell'energia e dei beni durevoli.
In termini annui la sezione dei beni cede lo 0,3% mentre per i servizi il tasso d'inflazione è positivo, anche se limitato a sette decimali, trainato verso l'alto dai capitoli istruzione e abitazione.

Eliminando dal calcolo le componenti più volatili, cioè alimentari freschi ed energia, la crescita dei prezzi è un poco più robusta, nell'ordine del mezzo punto percentuale. Si tratta però di dati ancora ben distanti dagli obiettivi Bce, che indicano nel 2% un tasso di inflazione ottimale.

Se a prima vista infatti uno scenario di prezzi fermi o addirittura in calo pare favorire le famiglie, in realtà l'effetto sull'intera economia è esattamente opposto. Per gli acquisti più significativi – ad esempio mobili, elettrodomestici o auto – un trend deflattivo invita i consumatori ad aspettare, poiché ogni rinvio rappresenta un risparmio. Alla lunga – questi comportamenti non fanno altro che ridurre i consumi.
Prezzi in calo impongono poi alle aziende una progressiva compressione dei margini. Che non si traduce solo nella frenata dei profitti per i soci ma anche nella riduzione delle risorse a disposizione per gli investimenti.

A livello macro, l'inflazione è anche un modo per ridurre il peso reale del debito, rendendo più leggere le rate degli interessi. Qualunque prestito in presenza di inflazione diventa meno oneroso da rimborsare nel tempo perché il capitale si “svaluta” negli anni mentre prezzi e salari salgono.

Altro danno è legato alle grandezze macro con cui veniamo misurati in Europa, il rapporto tra debito e Pil e quello tra deficit e prodotto interno lordo. Un po' di inflazione aiuta perché nei conteggi viene sommata al Pil e con un denominatore più alto i due rapporti scendono aumentando la nostra virtù dal punto di vista dei parametri europei. In un quadro come quello odierno, con deflazione e decrescita, il Pil si riduce.
E il rapporto con i nostri debiti peggiora.

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