Economia

Quando la dynasty aiuta gli affari

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Industria

Quando la dynasty aiuta gli affari

  • –Franco Vergnano

LEADER NEGLI IDE

Investimenti diretti esteri:

oltre i tre quarti

sono realizzati

da società appartenenti

al family business (Aidaf)

Si potrebbe dire: «Quando la dynasty aiuta gli affari». Sono in parecchi a pensare che le aziende di famiglia rappresentino una peculiarità che fa volare il “calabrone” del made in Italy.

Uno dei mille luoghi comuni dell’economia, o meglio degli “economisti da bar”, che però è duro a morire (anche se è in Italia la percentuale è più alta di altri Paesi Ue).

Così come non corrisponde al vero il fatto il “family business” sia sempre bonsai. Un colosso del largo consumo come Johnson Wax ha addirittura inglobato nel marchio - mettendolo in evidenza - lo slogan «A family company». Infatti la presenza delle imprese di famiglia è consistente in tutto il mondo. Basti pensare alle dynasty che controllano aziende come Mars, Ford, Wall-Mart, Cargill, Johnson & Johnson, Carrefour, Bmw-Quandt o le asiatiche Lg e Samsung. Non per niente le principali business school studiano il fenomeno. Per il guru di Harvard, John Davis, stiamo vivendo «Una nuova stagione del family business».

Certo, quando una famiglia storica è costretta a passare la mano e a cedere il comando la notizia fa rumore, come l’albero che cade si nota di più della foresta che cresce. E la conferma dell’importanza del family business viene dall’ultimo rapporto dellOsservatorio Aub sulle imprese di famiglia.

Che cosa emerge dal confronto internazionale? Che le aziende familiari, avendo una visione strategica a lungo termine (non legata quindi ai risultati dei “quarter” che aumentano la volatilità delle quotazioni borsistiche) e una maggior continuità manageriale superano meglio di altre società la lunga crisi che stiamo attraversando, soprattutto se riescono ad internazionalizzarsi, come è appunto emerso dal rapporto promosso dall’Aidaf (l’Associazione delle aziende familiari), da Unicredit, dalla cattedra Aidaf-Ey di Strategia delle aziende familiari della Bocconi e dalla Camera di commercio di Milano.

Dopo essere state tra il 2008 e il 2009 la tipologia di imprese che ha maggiormente accusato l’impatto della crisi, le aziende familiari sono riuscite - più delle altre - a invertire la tendenza e intraprendere percorsi di crescita, come dimostra il gap positivo di 10 punti di incremento del fatturato tra il 2009 e il 2013 rispetto alle altre imprese. Sul fronte della redditività il quadro è meno positivo: le aziende familiari, pur continuando a far registrate performance migliori delle altre, hanno un recupero più debole sulla situazione pre-crisi.

Ancora difficile rimane la capacità delle aziende familiari di ripagare il debito, misurata dal rapporto tra la posizione finanziaria netta (Pnf) e il Mol che si attesta a 6,1 (rispetto al 4,8 delle non familiari). Ma un’azienda familiare su cinque ha liquidità in eccedenza rispetto allo stock del debito. Inoltre l’incidenza delle imprese con Ebitda negativo è inferiore nel family business (6% contro l’11% delle altre società) e nel 2013 le aziende familiari hanno ridotto la dipendenza dal capitale di terzi (migliorando il proprio livello di patrimonializzazione) senza compromettere la propensione a investire.

Altri due temi chiave sono la crescita per linee esterne e l’internazionalizzazione con investimenti diretti esteri (Ide).

Sul fronte delle acquisizioni, le aziende familiari che hanno effettuato più di un’operazione sono quelle con i tassi di crescita più elevati.

Inoltre la propensione ad effettuare take over è maggiore nelle imprese che hanno un modello di leadership meno familiare, più strutturato e un assetto di governance con una minore presenza di esponenti della famiglia nel management.

Il processo di internazionalizzazione dell’Italia risulta trainato dal family business (che realizza infatti oltre il 75% del totale Ide). Inoltre i modelli di leadership e di governance più semplici (amministratore unico) e a maggiore connotazione familiare tendono ad influenzare negativamente la via dell’internazionalizzazione.

«L'Osservatorio Aub - commenta Elena Zambon, presidente di Aidaf - conferma la solidità della struttura imprenditoriale familiare, capace di reggere meglio nei momenti di difficoltà, specie quando si apre al contributo di manager che, condividendo la strategia imprenditoriale, realizzano progetti di internazionalizzazione e acquisizione per la crescita delle aziende. L’evoluzione verso un modello di impresa più attuale, anche in tema di governance, è favorito dagli scambi di esperienze. Il cambiamento può essere affrontato con coraggio quando lo si condivide all’interno e all’esterno della famiglia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I NUMERI CHIAVE

40,7%

Il family business Ue

L'Italia è il Paese dove la presenza di aziende familiari è più rilevante, seguita dalla Germania (36,7%) e dalla Francia (36%).

75%

Investimenti esteri

Le aziende familiari guidano l’internazionalizzazione del made in Italy:realizzano infatti oltre i tre quarti degli investimenti diretti esteri (Ide) del nostro Paese.

167,6

Il livello di crescita

Le aziende familiari che hanno effettuato più di una acquisizione sono quelle che mostrano i tassi di crescita delle vendite più elevati rispetto alle altre tipologie.