Economia

Elettrosiderurgia in affanno

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Elettrosiderurgia in affanno

  • –Matteo Meneghello

NELLA MORSA DELLA CRISI

L’impatto sull’occupazione è stato attutito dal ricorso agli ammortizzatori sociali ma il costante peggioramento della redditività allarma i sindacati

BRESCIA

Due convegni sindacali sulla crisi della siderurgia, organizzati nello stesso giorno, a pochi chilometri di distanza, nella stessa città. È successo a Brescia, pochi giorni prima di Natale. Da una parte la Fiom, ospite il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi; dall’altra la Uilm, con il contributo dell’ex braccio destro di Luigi Lucchini, Ugo Calzoni. La strana coincidenza è emblematica del grado di tensione a cui è giunto il mondo della siderurgia del Nord Italia.

Il mercato del tondo per cemento armato e delle travi non dà segni di ripresa da oltre sei anni e anche il 2015 si annuncia deludente. Le aziende sono sulle barricate ormai da troppo tempo. Solo pochi giorni fa (vedi pezzo sotto) è giunta la notizia della richiesta, da parte del gruppo Stefana (700 lavoratori) di ammissione alla procedura di concordato preventivo con riserva. La vicenda dell’azienda bresciana è, secondo gli addetti ai lavori, la punta dell’iceberg delle difficoltà del settore in Italia, a Brescia in particolare. Il comparto ha resistito per anni, ma ora sta scricchiolando. E, nel frattempo, sono arrivati pure gli stranieri a Piombino (l’algerina Cevital intende investire nel rilancio dell’acciaieria Lucchini) a reclamare la loro parte. Ora – giurano in molti tra le valli bresciane, dove lo splendore della siderurgia a forno elettrico è ormai uno sbiadito ricordo (i laminatoi attivi erano una settantina fino a 30 fa, oggi sono poco più di una dozzina) – nulla sarà più come prima. I dati della Fiom di Brescia sono emblematici e raccontano di una siderurgia che ha retto con gli ammortizzatori sociali dal 2008 ad oggi, senza perdere addetti, ma che ora ha il fiato corto. Dall'Alfa Acciai a Duferco, passando per Ferriera Valsabbia e Leali: non c’è realtà che, dal 2008 ad oggi, anno dopo anno, non abbia fatto ricorso a Cassa ordinaria, straordinaria, in deroga o contratti di solidarietà. E anche lo stop agli impianti per le ferie invernalie, quest’anno, è stato particcolarmente lungo, con punte di quattro settimane. Il bilancio dell’occupazione, come detto, è ancora in equilibrio: 4.129 lavoratori contro i 4.163 del 2010 (Alfa Acciai, Acciaierie di Calvisano, Leali, tra le altre, hanno perso addetti, ma Ori Martin, Aso ed altri hanno assunto).

In una recente analisi dei bilanci delle principali realtà siderurgiche italiane, curata da Siderweb il docente dell’Università degli Studi di Brescia e responsabile dell’analisi, Massimo Teodori, ha confermato «un peggioramento della redditività dovuta prevalentemente alla perdita di marginalità».In questi anni il settore ha retto grazie al «sostegno delle proprietà, all’efficienza nella gestione di costi e impianti, alla capacità delle imprese di essere flessibili, alla professionalità dei lavoratori» ha ricordato, nel corso dell’ultima assemblea dei soci, il presidente di Federacciai Antonio Gozzi. «Quando ho stigmatizzato l’iniziativa di Cevital, elencando i problemi esistenti al nord – aggiunge oggi –, l’ho fatto a ragione veduta. Serve un ragionamento di politica industriale: bisogna occuparsi di tutto il comparto, non caso per caso». Gozzi ricorda le recenti iniziative di Federacciai sull’energia e sul rottame, anche se, con il taglia-bollette, ricorda «noi siderurgici abbbiamo perso almeno il 10% di interrompibilità». Le difficoltà non riguardano solo Brescia. In Veneto le Acciaierie Beltrame nel 2014 hanno concordato con le banche un piano industriale di riiorganizzazione e di riscadenziamento del debito; a Catania le Acciaierie di Sicilia (sono controllate dal gruppo Alfa Acciai, di Brescia) hanno lanciato proprio a fine anno un ultimatum alle istituzioni per cercare una collaborazione sui fattori produttivi ed evitare esuberi.

Non tutti i gruppi, però, sono in difficoltà. Le realtà meno legate al mercato delle costruzioni riescono ad archiviare bilanci positivi e sviluppo, come confermano i casi delle già citate Ori e Aso. La stessa Riva Forni elettrici (il ramo d’azienda del gruppo Riva distinto da Ilva, che possiede 21 siti elettrosiderurgici in Italia e in Europa) ha chiuso il 2014 con ricavi, mol e utile in aumento rispetto al 2013. Per reagire, le aziende si riposizionano su prodotti a maggiore valore aggiunto. Investendo, in alcuni casi, somme considerevoli: lo testimonia la recente asta al rialzo tra Duferco-Feralpi e Acciaierie Venete per il laminatoio del Caleotto, vinta dai primi con un prezzo che, secondo gli addetti ai lavori, è stato pari al doppio degli 11 milioni della base d’asta.

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