Economia

Pd diviso sui licenziamenti collettivi

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Lavoro

Pd diviso sui licenziamenti collettivi

È braccio di ferro nella maggioranza, e all’interno del Pd, sulla sorte dei licenziamenti collettivi. I senatori dem, in occasione della discussione ieri notte in commissione Lavoro, sono usciti allo scoperto chiedendo al Governo, con un emendamento (votato anche da Sel e M5S) di cancellare l’estensione delle nuove regole (indennizzo e non più reintegra) ai licenziamenti di almeno 5 dipendenti. Ma il presidente della commissione, Maurizio Sacconi (Ap), si è detto contrario, auspicando che «il Consiglio dei ministri non recepisca questa richiesta».

Anche il Pd, in realtà, è diviso sul tema: per il responsabile economico, Filippo Taddei: «Non si tratta di cambiare un aspetto o un altro, ma di mantenere l’impianto di una riforma che mette al centro il lavoro stabile e introduce l’indennizzo come tutela ordinaria del lavoratore». D’accordo Pietro Ichino: «La legge delega esclude esplicitamente l’applicabilità della reintegra in tutti i casi di licenziamento economico. Non si può sostenere che questa espressione non comprenda il licenziamento collettivo».

Il punto in discussione è il mantenimento della tutela reale in caso di violazione dei criteri di scelta previsti da accordi aziendali. A chiedere il dietrofront sui licenziamenti collettivi sarà anche la commissione Lavoro della Camera presieduta da Cesare Damiano (Pd) che preme l’Esecutivo anche per rivedere, al rialzo, gli indennizzi minimi (attualmente fissati a 4 mensilità, 2 in caso di conciliazione standard).

Fin qui la cronaca parlamentare. Va infatti ricordato che si tratta di pareri non vincolanti per il Governo che ieri, per bocca del sottosegretario, Teresa Bellanova, ha annunciato l’intenzione di voler portare al Consiglio dei ministri del 20 febbraio tutti i restanti decreti attuativi del Jobs act, compreso quello sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Un’operazione difficile, soprattutto sul riordino della cassa integrazione visto che bisognerà ottenere l’ok del ministero dell’Economia. Strada in salita anche per la nuova agenzia nazionale per l’occupazione, alla luce delle critiche mosse dalle Regioni, ancora competenti sulla materia (a Titolo V non modificato).

In vista del 20 febbraio ieri pomeriggio al ministero del Lavoro si è svolta una nuova riunione tecnica con gli esperti di palazzo Chigi. A buon punto è il Dlgs sul riordino delle tipologie contrattuali. Qui si va verso un graduale superamento delle collaborazioni a progetto (l’ipotesi è fissare la deadline al 1° gennaio 2016), e una ridefinizione complessiva delle cococo. Verso la cancellazione anche delle associazioni in partecipazione e del lavoro ripartito (il job sharing utilizzato in agricoltura, che conta qualche centinaio di rapporti). Ci sarebbe una semplificazione dell’apprendistato di 1° livello (per il diploma e la qualifica professionale) e di 3° livello (di alta formazione). Per il lavoro a chiamata è ancora in corso una riflessione, per evitare di penalizzare alcuni settori produttivi (commercio e ristorazione). Ancora in bilico è pure l’intervento sui contratti a termine (la cui durata potrebbe scendere da 36 a 24 mesi).

Sulle mansioni, si amplierebbero i margini di intervento del datore di lavoro nei casi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale.Tornando al parere, votato ieri dalla maggioranza, c’è il richiamo all’applicazione omogenea delle nuove disposizioni a tutto il lavoro privato e pubblico, con l’eccezione delle carriere d’ordine. In termini generali, è scritto nel parere, «la regolazione dei nuovi contratti permanenti deve allinearsi alle discipline vigenti negli altri paesi europei, anche a quelle più protettive».