Economia

Costo lavoro zavorra per l’export

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Costo lavoro zavorra per l’export

  • –Nicoletta Picchio

roma

Qualità che migliora, capacità di essere presenti nei mercati più dinamici, posizionamento a monte nella catena del valore, rafforzando la posizione di fornitrici di beni intermedi: le imprese italiane hanno dimostrato di saper tenere il passo di quelle tedesche nelle esportazioni. Negli ultimi quattro anni l’export delle aziende del nostro paese è cresciuto del 3,0% annuo, contro il 3,5 dei tedeschi.

Non solo: dal 2000 la qualità dei prodotti italiani è aumentata del 25%, +11,7 punti percentuali rispetto ai tedeschi, che si sono fermati al 13,3 per cento. Per reggere il confronto hanno saputo orientare le vendite verso paesi più dinamici, tanto che la domanda potenziale italiana è salita del 4,1% medio annuo tra il 2000 e il 2014, contro il +4,2 di quella tedesca. Le imprese italiane hanno contenuto l’aumento dei listini: +2% annuo, contro l’1,8. Tutti questi punti di forza hanno offerto un contributo positivo di 4,9 punti percentuali all’anno alla dinamica delle esportazioni italiane.

L’export italiano vince nella qualità, sintetizza la nota diffusa ieri del Centro studi di Confindustria, ma è penalizzato dai costi. C’è un elemento che pesa e rappresenta una zavorra per la competitività italiana: la crescita del costo del lavoro per unità di prodotto è stata di 3 punti percentuali all’anno rispetto al -0,1 tedesco (per la Germania i dati sono fermi al 2013). Il Clup in Italia è cresciuto del 36,7% fino al 2013 (+42,5 fino al 2014) con un gap molto ampio accumulato rispetto ai principali paesi europei: +37,7 punti sulla Germania, 18,2 sulla Spagna, +34,4 sulla Francia.

Un handicap che si è tradotto in una minore crescita dell’export: dall’inizio del 2000 ben 0,95 punti percentuali medi annui. A fronte dell’aumento relativo del Clup le imprese manifatturiere italiane hanno mantenuto competitivi i prezzi, ma facendo sforzi tra cui la riduzione dei margini di profitto, erosione che non è sostenibile nel lungo periodo perchè penalizza la capacità di investimento.

Infatti per rimanere competitivi, continua lo studio del Csc, realizzato da Cristina Pensa e Matteo Pignatti, occorre investire in beni capitali, che accrescono la capacità produttiva e favoriscono l’innovazione. Alla contrazione degli investimenti è attribuibile una mancata crescita dell’export di 0,06 punti medi annui dall’inizio del 2000. Se si considera il periodo a partire dal 2007, l’effetto negativo è di 0,31 punti all’anno.

Ci sono una serie di elementi che oggi offrono la possibilità di recupero: svalutazione dell’euro e crollo del prezzi del petrolio aumentano la competitività italiana di prezzo e di costi, oltre a rimpolpare i margini delle imprese. I tassi a lunga ai minimi riducono i costi di finanziamento. Maggiori margini e minore costo del denaro alimenteranno gli investimenti e quindi futuri guadagni di produttività. A queste misure esterne si sommano quelle interne, come l’intera deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile Irap, prevista dalla legge di Stabilità 2015, che ridurrà la dinamica del Clup nel settore privato di 1,6 punti nel 2015 e 1,2 nel 2015, cosicchè il Clup si ridurrà dello 0,5 e dell’1,4 per cento.

Occorre capitalizzare questi vantaggi proseguendo le riforme strutturali, incalza il Centro studi di Confindustria, completando quelle del mercato del lavoro e della Pubblica amministrazione.

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