Riconversione
In Sardegna al via
un progetto comune
tra le imprese Coldiretti
e Novamont per alimentare
una bioraffineria
Milano
Agricoltura e industria possono essere buoni alleati non solo nei processi di trasformazione alimentare. L’attività agricola è una inesauribile miniera da cui ricavare materie prime necessarie alla produzione di un ampio ventaglio di prodotti ad alto valore: dall’energia ai polimeri plastici; dai lubrificanti ai cosmetici, dai tessuti ai materiali compositi.
Una gamma di prodotti e materiali la cui domanda mondiale registra una costante crescita a due cifre. In Europa entro il 2020 il mercato avraà un valore di quasi 40 miliardi (erano 20 miliardi nel 2006) con oltre 90mila occupati. In questo scenario l’Italia non è all’anno zero, ma non svetta nemmeno ai primi posti. Secondo una ricerca di Plastic Consult al 2012 nel settore erano in attività 145 società con 1.300 addetti e un giro d’affari di 370 milioni di euro.
La maggior parte dei progetti, delle inzitive e delle ricerche che si sono poi tradotte in attività industriali, la si deve più all’azione del singolo o di una pattuglia di associazioni: essenzialmente due i grandi gruppi industriali attivi in questa filiera - Novamont e Mossi & Ghisolfi- mentre tra le associazioni, Chimica Verde Bionet è quella che dal 2006, data della sua fondazione, è in prima linea nello sviluppo e nella ricerca per l’applicazione industriale di materie prime di origine vegetale.
Dalle coltivazioni più adatte per produrre fibre o oli, fino agli scarti di lavorazione, tutto ciò che è vegetale può essere impiegato nella realizzazione di nuovi materiali. L’esempio quotidianamente sotto gli occhi è il sacchetto della spesa biodegradabile. Tuttavia oggetti di origine vegetale stanno entrando nella vita di tutti i giorni: nelle mense piatti, bicchieri e posate sono di bio-plastica, come lo sono i vasetti e i tubetti per cosmetici. E proprio la cosmesi è uno dei grandi fruitori del riciclo degli scarti agricoli. Dalle polpe degli agrumi si estraggono oli essenziali, ma anche dalle bucce dell’uva, da quelle del pomodoro e dai residui dell’olivicoltura.
«Negli ultimi anni il mondo della cosmetica ha dimostrato una forte propensione verso un migliore utilizzo delle risorse», spiega Mariella Bleve, tra i soci fondatori e amministratore di EticHub, spin off dell’Università di Pavia. «Sono stati così avviati gli iter necessari ad acquisire brevetti ad hoc per l’estrazione di principi attivi idonei alla successiva produzione di prodotti cosmetici. Spesso infatti, come nelle acque di vegetazione delle olive o nella buccia d’uva, sono presenti polifenoli di grande interesse per la loro azione cosmetica, ricca di proprietà antiossidanti, quindi antiage».
Nella seconda metà di gennaio Coldiretti e Novamont hanno annunciato l’avvio di un accordo «finalizzato alla creazione di filiere agroindustriali innovative delle bioplastiche e dei biolubrificanti a filiera corta», spiega una nota congiuta. Un primo progetto pilota partirà in Sardegna «per la diffusione del cardo, coltura a basso input che ha dimostrato di crescere su terreni aridi e poco adatti a colture tradizionali, non consumando acqua, generando farine proteiche per l’alimentazione animale e altre materie prime per prodotti a basso impatto ambientale, creando una forte sinergia con la bioraffineria Matrìca di Porto Torres, in Sardegna. Impianti nati da una tecnologia sviluppata da Novamont dove, partendo dall’utilizzo di materie prime agricole e di scarti vegetali, si produce una gamma di prodotti chimici (biochemicals, biointermedi, monomeri per la produzione di bioplastiche, basi per biolubrificanti e bioadditivi per gomme) attraverso processi assolutamente innovativi e a basso impatto».
In un periodo di forte crisi per l’agricoltura italiana, sembra l’uovo di Colombo poter contare su filiere ad alto valore e su una più stretta collaborazione tra università, aziende agricole e industria. «Ma non è così - spiega Sofia Mannelli, presidente di Chimica Verde Bionet - perchè non esiste una strategia nazionale di intervento. Ogni regione fa un po’ voce a se. Manca quindi una visione a lungo termine e strategica per la bioeconomia. E non esiste ancora un circuito riconosciuto di certificazione delle produzioni, mentre la normativa autorizzative per le bioraffinerie varia da regione a regione, mentre per ogni coa che nasce nasce anche il comitato del “no” a priori. Come aziende e ricerca, l’Italia è al top mondiale - aggiunge Sofia - l’associazionismo è al lavoro ma la politica è allo zero assoluto».
La biochimica ha comunque attirato l’attenzione anche del settore espositivo. Tra il 25 e il 27 febbraio Cremona Fiere organizza tre saloni (BioEnergy Italy, Green Chemistry Conference and Exhibition e Food Waste Management Conference). Tra i temi protagonisti quest’anno il packaging sarà alla ribalta. E non solo perchè sono sempre più diffuse le bio-confezioni, ma anche perchè il concetto stesso di riciclo sta mutando la funzione dell’imballaggio, con l’arrivo di confezioni in grado di “dialogare” con i chip dei nostri frigoriferi e con le etichette “intelligenti”. Ov viamente bio.
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LA BIOCHIMICA
Induplast (Bergamo)
L’azienda realizza contenitori in polimeri Ecoplant per cosmetici di alta qualità
Green Evolution (Bolzano)
Numeroso il catalogo dei prodotti tra cui cassette in mater-bi per il settore ittico
Novamont (Milano)
Tra le sue produzioni lubrificanti industriali con alte performance di lavoro
Polycart (Assisi)
Produce sacchetti per verdure in materiali bio e imballaggi per ortofrutta
Frumat (Bolzano)
Dagli scarti di lavorazione delle mele produce carta e pelle per calzature di lusso
Aziende della cosmesi
Dalla buccia di uva e pomodori nuovi principi attivi per creme e tonici della pelle