Economia

Imprese veneziane a lezione di «passaggio generazionale»

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COMPETITIVITà

Imprese veneziane a lezione di «passaggio generazionale»

«Ho avuto un figlio solo: avrebbe dovuto essere facile, eppure quando ha iniziato a venire in azienda, a chiedere un ufficio, i suoi spazi, io che ero come Napoleone abituato a fare e decidere tutto mi chiedevo: cosa vuole questo?». Giovanni Rana, veronese patron della pasta ripiena, racconta il suo passaggio generazionale agli imprenditori veneziani.

Una giornata organizzata dalla Confindustria territoriale presieduta da Matteo Zoppas per dare alle imprese, soprattutto alle medie e piccole, gli strumenti per gestire, in tempo, la situazione. Perché «l’impresa di famiglia, almeno nelle piccole e micro imprese, è la regola, non l’eccezione: fino all’80-90% dei casi» spiega Guido Feller, docente all’università di Trento e membro del Gruppo Azimut. «È un passaggio delicato, perché cambiano la figura di comando e lo stile della gestione, eppure nella maggioranza dei casi ancora oggi ci si arriva solo con l’apertura di una successione per morte, senza avere preparato la strada. Le questioni legali, la legittima dell’eredità, possono significare il frazionamento della proprietà, o il depauperamento del capitale per la necessità di liquidare alcune figure».

Due casi fra tutti, entrambi con sei generazioni alle spalle: l’italiana Fiat con la sua complessità e la tedesca Bmw, dove - con regole nazionali diverse - le persone fisiche al controllo sono solo tre. La sfida è «far parlare generazioni diverse, chiamate a convivere anche per trent’anni nella stessa realtà, ma che hanno linguaggi differenti, esperienze non paragonabili. Padri che non capiscono i figli, e viceversa», sottolinea il consulente Franco Cesaro. E ricorrere a figure esterne come i manager che aiutino il dialogo è spesso una scelta mal vista. «Io parlo solo veneto, mio figlio tre lingue», sintetizza Rana fra gli applausi. E se una volta bastavano la passione e il lavoro, oggi scegliere le figure adatte alla successione significa valutare e premiare gli studi fatti, le necessarie esperienze di lavoro all’estero, le lingue da conoscere per trattare in un mercato globale. «Eravamo 19 cugini, 15 in azienda - è la testimonianza di Pietro Boroli, presidente De Agostini Editore - Mio padre e suo fratello avevano scelto di dare a tutti l’opportunità di entrare in azienda. Abbiamo dovuto darci regole chiare per il riconoscimento della leadership: oggi che le generazioni si incrociano, l’ultimo della quarta è più piccolo del primo nato della quinta, i candidati leader formano un comitato strategico e c’è anche una academy interna per la formazione dei più giovani».

A fare la differenza è l’aver respirato la fabbrica «fin da piccoli - racconta Giordano Riello, che porta il nome del nonno fondatore di Aermec Spa, azienda leader nella climatizzazione - Per questo è stato naturale fondare una mia startup: con mio padre ho condiviso la preoccupazione quando c’era da pagare l’affitto del capannone ancora improduttivo perché abbiamo atteso un mese di avere l’elettricità, e lui è stato il primo cliente».

Le conclusioni a Marco Gay, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria: «Chi fonda una azienda la sente inevitabilmente come un figlio. La differenza è fra sentirsi padroni o custodi: il padrone può decidere di rovinarla, di fare scelte anche sbagliate, il custode ha il compito di pensare a chi verrà dopo».

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