Economia

Dossier La frutta secca di Besana: dal Vesuvio alla conquista il mondo

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    Dossier | N. 10 articoli

    La frutta secca di Besana: dal Vesuvio alla conquista il mondo

    Cento milioni di piccoli pacchi escono ogni anno dalle 35 linee di confezionamento che fanno di Besana, classe 1921, il più grande produttore e distributore italiano di frutta secca al mondo, presente da poco anche in Cina attraverso i negozi della catena Walmart.

    Fondata dai fratelli Emilio e Vincenzo Besana oggi l’azienda – distrutta durante la guerra e ricostruita subito dopo - è guidata dai discendenti Pino e Riccardo Calcagni (padre e figlio) che la stanno spingendo oltre ogni più rosea previsione nonostante gli anni della crisi.
    Non è certo banale né scontato giungere a lavorare 24mila tonnellate di prodotto per un fatturato che nel 2014 ha toccato i 171 milioni (+ 478% negli ultimi quindici anni, l’88 per cento destinato all’estero) dando un’occupazione a 400 dipendenti diretti e a 2.500 indiretti e dell’indotto.

    Soprattutto se questo avviene in gran parte nel quartier generale di San Gennaro Vesuviano, un comune densamente popolato, abbarbicato sul vulcano di Napoli, servito da strade incerte e trafficate. Uno dei tanti miracoli all’italiana che accadono anche al Sud.
    La vocazione internazionale dell’impresa si presenta quasi subito e nel 1928, a soli sette anni dalla sua fondazione, noci, noccioline, mandorle, arachidi, pistacchi e tutto il ben di dio manipolato dalla Besana già finiva in Germania, Regno Unito, Svezia e Nord America.
    L’accordo nel tempo con i maggiori distributori – Mark & Spencer, Colruyt e Delhaize, Tesco per citarne alcuni – e la collaborazione con le principali aziende di settore – come Ferrero, Nestlè, Barilla – hanno fatto il resto completando le piazze d’Europa e conquistando l’Oriente.

    L’azienda, cresciuta e organizzata a livello di Gruppo, vanta anche magazzini refrigerati presso l’Interporto Campano a Nola, uno stabilimento in Inghilterra a Ipswich, un impianto ad alta tecnologia per la lavorazione del cioccolato nel Cilento (Vittoria Chocolatery). Il tutto per 36.550 metri quadrati di superficie e 242mila metri cubi.
    Insomma, qualità del prodotto (alta, altissima, dicono in fabbrica), elevate proprietà energetiche, piccole confezioni a costi contenuti, bontà all’altezza del miglior cibo italiano sono alla base di un successo accertato e che si va progressivamente consolidando.

    Certo non piovuto dall’alto, come tengono a precisare Pino e Riccardo Calcagni di fronte alla platea dei clienti invitati qualche settimana fa nello stabilimento vesuviano per mostrare gli ultimi avanzamenti della premiata ditta, ma ricercato con amore e caparbietà.
    E, molto probabilmente, da una politica fatta di continui investimenti – 25 milioni negli ultimi sette anni – che ha consentito e consente ogni giorno che passa di mantenersi efficienti e moderni in un mercato sempre più grande e sempre più competitivo.
    Nascono così nuove linee ad alta precisione per la miscelazione e la preparazione di monoporzioni e impianti all’avanguardia per la selezione delle materie prime e per la tostatura. Compare anche un’area “Nut Free”, senza nocciole, alimentata con i pinoli, per venire incontro ai problemi delle persone allergiche.

    Per essere all’altezza del compito, il Gruppo si sottopone ogni anno a oltre quaranta audit da parte dei principali enti certificatori e dei numerosi clienti che chiedono il rispetto di specifici metodi di lavorazione o la conformità ai codici aziendali. Un’esigenza che si risolve nella tenuta delle più importanti attestazioni di qualità. «È una bella storia, la nostra – non può trattenersi dal dire Pino Calcagni –: affonda le sue radici nel territorio nazionale e sa guardare lontano per cogliere le grandi opportunità del mercato globale; una storia d’imprenditorialità sensibile, capace d’innovare nel rispetto degli altri e dell’ambiente».

    Come dimostra, a modo della ciliegina sulla torta, l’enorme impianto fotovoltaico sul tetto dell’immobile di San Gennaro che genera almeno il 20 per cento dell’energia complessivamente utilizzata per la variegata produzione e per l’imballaggio della frutta secca che finisce sulle nostre tavole.

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