A 54 giorni dall’Expo, con un budget ancora da definire (a causa degli extracosti in crescita) e qualche variante ancora da realizzare, il Padiglione Italia sta prendendo forma. Non senza fatica: visitando i cantieri, ci si rende subito conto che si tratta di una corsa contro il tempo. E tuttavia si tratterà di una struttura pionieristica per forme e materiali, che, secondo l’architetto romano Michele Molè a capo del progetto, può essere utilizzato nelle città del futuro, o per riqualificare aree urbane da «demolire e ridisegnare».
I cantieri dell’Expo, a meno di due mesi dall’evento, lasciano increduli. Per due ragioni. La prima: nel giro di poche settimane è cresciuta una città sopra il milione di metri quadrati del sito espositivo di Rho. La seconda: guardandosi intorno ci si rende conto che, insieme ai tanti padiglioni che si elevano in altezza, ci sono ancora tanti cantieri, e sembrerebbe impossibile finire tutto in 54 giorni. Ma i tecnici spiegano che molte strutture sono leggere e prefabbricate, e che le aziende che lavorano sono abituate a operare in emergenza. «È un po’ come quando si preparano i concerti: si fa tutto rapidamente», spiega Molè. I padiglioni sono lo specchio del trend economico del mondo. I paesi in crescita hanno quasi ultimato il lavoro. L’Angola è a buon punto, così come Israele. Più indietro la Francia. Eccezione: la Cina, con il suo super padiglione da 60 milioni che viene su con lentezza imprevista dopo l’accelerata inziale.
La creatività si sbizzarrisce: materiali originali e tetti ondulati, pareti colorate e scritte futuriste. Il Giappone non usa sistemi di collegamento come chiodi o calce, ma solo pezzi a incastro, tenuti insieme come in un gioco. I nove cluster tematici, con strutture tutte uguali e quindi più semplici, sono già pronti, e si differenziano per gli allestimenti esterni e interni. Ogni cluster raccoglie più paesi poveri che non hanno potuto realizzare un padiglione autonomo, ma che hanno comunque cercato di sfogare l’inventiva con architetti giovani. Il cluster del riso, per esempio, è già tutto ricoperto di specchi.
Il Padiglione Italia è la struttura più imponente ed è costituito da tre parti: il Palazzo Italia, l’Albero della vita che si erge sopra il Lake Arena, e la strada del Cardo, cioè il lato corto che attraversa il sito, una sorta di strada maestra dove sono dislocati i padiglioni minori tematici. Costo iniziale: 40 milioni, con una gara vinta dalla cordata di Italiana Costruzioni per un ribasso d’asta del 30% che probabilmente sarà vanificato dalle varianti. Il progetto esecutivo è stato completamente rifatto a forza di piccoli aggiustamenti. «Ma l’idea di base non è stata modificata – sottolinea Molè – il progetto, nella sua concezione, e’ rimasto intatto». In ogni caso bisognerà fare un compendio delle varianti, tra migliorative e semplificative, per valutare gli extracosti, che saranno oggetto di una trattativa con la società appaltante Expo. E, come si sa, spesso accade che i benefici dei ribassi d’asta siano poi compensati dall’accresciuto costo finale reale. Per l’architetto dello studio Nemesi, che guarda alla “sua” opera con l’ambizione di un lascito, la prospettiva è un’altra: «Il palazzo rimane alla città e da qui può ripartire una visione di sviluppo urbano; non è un costo, è un investimento».
Il Palazzo Italia sarà il cuore dell’Expo: la grande area espositiva ha forme poliedriche che s’incastrano fra loro. È vasto 13mila metri quadrati e alto 36 metri, quattro di più rispetto al progetto del 2013. Le varianti nell’ultimo anno non si contano neppure più, ma quella fondamentale è dell’aprile 2014, quando i vertici di Expo hanno deciso di rinunciare a una serie di uffici per allargare lo spazio espositivo e ampliare le aree espositive e il roof garden, che potrà ospitare fino a 300 persone (erano 100 all’inizio).
La particolarità è l’utilizzo del cemento biodinamico, un materiale unico di Italcementi, liquido e plastico, capace di espandersi e prendere forme particolari, ma soprattutto in grado di “mangiare” lo smog e mantenersi pulito. «Con questo materiale possiamo creare un’architettura di eccellenza, non più seriale, come era un tempo Milano a inizio Novecento», dice Emilio Pizzi, responsabile del Controllo di qualità del Politecnico (e preside della scuola di Ingegneria edile-architettura).
L’idea del Palazzo? Una sorta di foresta urbana, di un bianco quasi accecante (che contiene polveri di marmo di Carrara), con pilastri che somigliano a radici e che crescono e si ramificano sulla struttura, lasciando intravedere le vetrate e modulando così la luce e il calore, come un guscio protettore. Il 70% dell’energia sarà autosostenibile. Internamente ci sarà una piazza con tanti spazi multiformi, come fosse una città reale. «L’idea è proprio la convivialità e il senso di comunità dei siti urbani italiani». Poi, nel mezzo all’edificio, ci sarà una cascata che scivolerà da una scala a forma di conchiglia.
In questo momento si alternano su tre turni, con una logistica complessa, tre grandi aziende: la Styl-comp che costruisce le facciate; la Nagest che si occupa degli allestimenti; la Stahlbau pichler che realizza le coperture. Gli addetti sono 180. Per ora siamo al 60-70 % del progetto realizzato. «Con software tridimensionali, abbiamo creato strutture concave e convesse legate tra loro».
Sulla “Via del Cardo”, invece, c’è qualche problema. A concedere gli spazi ai concessionari è stato, all’inizio, prevalentemente il marketing, usando parametri, spiegano i tecnici, poco realistici. Così si sono ridimensionati i progetti. Gli edifici sono ancora a metà: impalcature e mura mancanti. Doveva essere tutto in legno, poi si è puntato a materiali meno costosi e più pratici. Il 15 marzo saranno affidati gli spazi. Ma il nodo di tutti i ritardi, ricordano Molè e Pizzi, è la perdita di tempo in faide tra Comune e Regione, quando si discuteva di aree e non di progetti. La politica spadroneggiava. Così ora si corre. Specie nel Padiglione Italia, vetrina dell’evento.