Economia

Gli Usa «chiamano» le Pmi italiane

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Industria

Gli Usa «chiamano» le Pmi italiane

  • –Marco Valsania

PARTECIPAZIONE ITALIANA

Presenti 41 aziende

di diversi settori:

dall’aeronautica all’energia,

dalla meccanica

alle macchine agricole

washington

Gli Stati Uniti spalancano le porte a nuovi investimenti esteri, sfidando il rafforzamento del dollaro e puntando sulla ripresa economica del Paese, sul clima pro-business e soprattutto sulla riscossa del manifatturiero che moltiplica le opportunità per imprese straniere grandi e piccole di creare stabilimenti e filiali da una costa all’altra.

«L’America è aperta al business e vuole lavorare con voi», è stato questo il messaggio portato ieri dal presidente Barack Obama e che ha risuonato sulle rive del Potomac davanti a una platea di 2.600 persone, 1.300 investitori e mille aziende. La fiera annuale degli investimenti esteri, SelectUsa, a conti fatti ha visto convergere sul Gaylord Convention Center della capitale un esercito record e tre le attese di imprenditori, dirigenti d’azienda, associazioni internazionali da una parte; decine di rappresentati di autorità federali, statali e locali americane dall’altra.

Una fiera che privilegia le aziende medio-piccole e che ha visto le italiane - 41, il doppio dell’edizione precedente - rispondere all’appello, dalle macchine agricole all’aeronautica fino all’energia. Pelliconi, leader nei sistemi di imbottigliamento che ha intenzione di espandere la produzione in Florida, ha conquistato una menzione da parte del Segretario al Commercio Penny Pritzker nella presentazione della kermesse di due giorni, accanto a gruppi indiani, tedeschi, canadesi e svizzeri. Non è l’unica ad avere piani concreti: Eldor, specializzata nell’elettronica per l’automotive, ha già un ufficio di rappresentanza a Detroit da oltre un anno. Ora è qui come le altre per verificare l’opportunità di importanti investimenti produttivi destinati a servire il mercato statunitense. Per esplorare la possibilità di aprire un impianto forte di personale qualificato, vicinanza a università e centri di ricerca, logistica e infrastrutture efficaci, tutti gli ingredienti essenziali per le attività manifatturiere e tecnologiche.

«Tutte le aziende- spiega Riccardo Monti, presidente dell’Agenzia Ice - sono arrivate con progetti concreti. A coronamento di dieci anni che hanno visto i nostri flussi verso l’America decuplicati». E aggiunge: «Si tratta di servire un mercato cruciale quale quello americano, non di delocalizzare attività». Stando ai dati rilasciati da SelectUsa, l’Italia resta 13esima come posizione totale, con 38,44 miliardi di dollari a fine 2013, e 17esima in termini di flussi annuali. I negoziati per portare a buon fine nuove operazioni sono però intensi: i 50 stati americani hanno alternato receptions collettive, del New Jersey già domenica all’Ohio ieri sera, a incontri di “matchmaking” nelle sale sparse per l’enorme centro convegni. Numerose aziende partecipanti, italiane comprese, partiranno senza indugi alla volta di singoli stati per proseguire discussioni sugli incentivi e le condizioni per mettere radici. E non manca qualche stato americano in contemporanea missione in Italia per stringere rapporti: il Missouri, cita l’ambasciatore statunitense a Roma John Phillips a sua volta giunto a Washington. La partita degli incentivi, in tutto, è stimata in 80 miliardi l’anno.

Il summit si era aperto all’ombra d’una parziale doccia fredda: gli investimenti diretti esteri negli Stati Uniti, stando a dati preliminari, sono diminuiti del 60% nel 2014 a 92 miliardi di dollari. La statistica è stata però viziata da un’unica grande dismissione: la cessione da parte della britannica Vodafone della sua quota nella joint venture Verizon Wireless per 130 miliardi. «Senza questa transazione i flussi sarebbero rimasti stabili attorno ai 200 miliardi», dice Nancy McLernon, chief executive dell’associazione della imprese straniere negli Usa, la Ofii, che rappresenta 170 gruppi inclusi alcuni marchi italiani. «E credo che quest’anno avremo di nuovo un trend positivo - aggiunge -. Neppure il rafforzamento del dollaro ha un impatto significativo su investimenti di natura strategica, anzitutto nel comparto manifatturiero che costituisce buona parte dei flussi in entrata grazie al reshoring, al rientro in patria di crescenti attività».

McLernon riflette tuttavia anche qualche preoccupazione che serpeggia tra le aziende estere, nonostante il clima favorevole al business sottolineato dai relatori che si susseguono sul palco e negli incontri su temi quali innovazione e le scommesse nell’America rurale: su tutte le resistenze politiche a nuovi accordi di libero commercio, con la regione del Pacifico e con l’Europa. E proposte di riforme fiscali “nazionaliste”, che per alcuni parlamentari dovrebbero aumentare le imposte sulle società straniere limitando le deducibilità di interessi su prestiti per investimenti.

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