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Vitigni di qualità soffocati dalla burocrazia

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Industria

Vitigni di qualità soffocati dalla burocrazia

verona

«Innovare, in Italia, resta un mestiere difficile». È sconsolato Eugenio Sartori, direttore generale dei Vivai Cooperativi Rauscedo, leader mondiale del vivaismo viticolo (67 milioni di barbatelle prodotte l'anno, oltre 70 milioni di euro di fatturato realizzato per il 43% all'estero) che dal Vinitaly di Verona ha lanciato l'allarme: c'è un vero e proprio cortocircuito sulle autorizzazioni delle nuove varietà di vite. «L'Istituto di genomica applicata dell'Università di Udine – spiega Sartori - ha sviluppato negli anni, anche grazie al nostro sostegno, alcune varietà di vite resistenti alle malattie. Si tratta di vitigni che non subiscono gli attacchi della peronospora e dell'oidio, le due principali e più diffuse patologie dei vigneti».

Questi vitigni consentono quindi di produrre vini di qualità abbattendo al tempo stesso il ricorso ai trattamenti chimici. Con evidenti vantaggi sia sul piano della sostenibilità ambientale sia di quella economica. Ma queste varietà, in tutto dieci, a oltre due anni dalla domanda non hanno ancora ottenuto l'iscrizione nel Registro Nazionale delle Varietà. Iscrizione che è necessaria per passare dalla fase sperimentale a quella dell'utilizzo in campo.

Le eccezioni sollevate dai tecnici del ministero per le Politiche agricole riguardano le denominazioni adottate. Nomi che contengono il riferimento al “parentale” ovvero al vitigno principale (come Cabernet, Merlot o Sauvignon) e che pertanto – secondo gli esperti del ministero - possono generare confusione con le piantine convenzionali. «Obiezioni che noi contestiamo – aggiunge Sartori -. Innanzitutto perché dubbi sulle denominazioni scelte potevano essere sollevati al momento della richiesta di iscrizione e non a due anni di distanza. Ma, soprattutto, nuove varietà resistenti e con analoghe denominazioni come Cabernet Cortis e Cabernet Carbon sono già state registrate in Italia. E l'unica differenza con i nostri prodotti, frutto della ricerca italiana, è che sono state create in Germania. Pertanto: per quale motivo questi dubbi ora opposti a noi non sono stati sollevati per i vitigni tedeschi?».

Il rischio di eventuali confusioni con le piante convenzionali poi potrebbe essere ulteriormente ridotto dal progetto previsto dall'Università di Udine di creare – una volta ottenuta l'iscrizione – un marchio ad hoc per le nuove piante resistenti. «Il timore – conclude il direttore di Vivai Rauscedo (coop associata a Fedagri-Confcooperative) – è che in questa situazione si penalizzino i viticoltori italiani a tutto vantaggio di quelli dei paesi Terzi. Dall'Australia al Cile, infatti, l'iter autorizzativo dei nuovi vitigni è brevissimo e temiamo che i viticoltori di quei Paesi possano arrivare sul mercato con i nuovi prodotti made in Italy prima degli italiani».

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