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    Le attività sanate con la voluntary vanno ripensate come «patrimonio»

    Se le entrate per l'erario italiano da voluntary disclosure saranno proporzionate all'immenso movimento che si sta registrando in questo periodo di convegni, iniziative per informare i clienti potenzialmente interessati, e al quotidiano recarsi in Svizzera di professionisti italiani chiamati dalle banche elvetiche, il gettito non potrà che essere oltre qualsiasi attesa.

    Ma attenzione, perché a differenza delle tradizionali abitudini italiane, la voluntary non può essere fatta all'ultimo minuto. Leo De Rosa, dello studio Russo De Rosa associati, afferma: «Ormai tutti gli elementi normativi per fare la voluntary disclosure ci sono, ma il passaggio dalla teoria alla pratica resta impegnativo. Come professionisti italiani abbiamo sollecitazioni dagli intermediari esteri che se le richieste di documentazione non saranno tempestive, avranno difficoltà ad ottemperare alla consegna dei documenti entro settembre. I tempi quindi si accorciano ulteriormente». Suggestiva l'immagine di De Rosa per illustrare la differenza tra scudo e voluntary: «Lo scudo era come una foto, fissava la situazione a una specifica data, quella del 31 dicembre 2008. La voluntary, al contrario, è come un film cui partecipano, su un orizzonte pluriennale, il cliente, i soggetti a lui collegati e gli intermediari non residenti, quando non fiduciarie, trust company, fondazioni e gestori patrimoniali esteri». Una sceneggiatura complessa per la quale occorre sbrigarsi a prendere in mano penna e calcolatrice.

    Occorre dunque partire presto, stando attenti. «Un problema è la cattiva informazione - precisa De Rosa -. Molti pensano che se le attività sono in un Paese che ha sottoscritto l'accordo con l'Italia, allora non si vada più indietro rispetto al 2010. Non è così. Se quelle attività sono state in anni precedenti in un Paese black list senza accordo, vanno sanati anche quegli anni. Anche per i reati tributari, poi, la voluntary torna indietro rispetto al 2010».

    De Rosa segue da vicino il mondo del private banking e quindi è attento alle possibilità future di collocazione di queste somme. «La prima cosa da fare per ricollocare queste attività in Italia è quella di pensare perché sono state portate all'estero - spiega -. Se le esigenze saranno quelle della riservatezza, della protezione e della trasmissione generazionale, certamente il trust e le polizze potranno svolgere un ruolo importante». Però avverte anche che «l'Agenzia delle Entrate “impara” dai comportamenti dei contribuenti ed occorrerà, quindi, che questi strumenti siano ripensati in modo genuino, in un mondo in cui la trasparenza verso il fisco sarà lo standard».

    Dunque rientro in Italia, ma pensando alle finalità per cui si era andati all'estero: alla paura del crollo dell'euro e di tutte le catastrofi possibili non si può più far fronte nascondendo il gruzzolo. Gianluca Serra, client advisor di Kairos (intervenuto come De Rosa a un convegno organizzato da Morningstar in occasione del Salone del risparmio a Milano la settimana scorsa), ha una teoria interessante. «Chi dopo i vari scudi ha lasciato patrimoni ancora non sanati all'estero, pensa a questi ultimi come a una sorta di “tesoretto di ultima istanza” - dice - e tenderà a considerarli ancora come separati dal resto del patrimonio. Alla tendenza già frequente di considerare la parte finanziaria dei propri beni come separata dal resto, si aggiunge un'ulteriore divisione tra quanto è in Italia e quanto è all'estero. Una serie di scatole a se stanti». Ma con la voluntary e con il regime di trasparenza che essa introduce, questo atteggiamento non è più possibile: «Ora queste attività - continua Serra - diventa una parte del patrimonio disponibile del cliente e si comincia a guardare a loro con occhio differente».

    Anche Federico Pitocco, Business development manager per il mercato italiano di Morningstar, ricorda che: «Le somme sanate con la voluntary, non si discostano dal resto del patrimonio del soggetto che le ha regolarizzate e per questo vanno trattate allo stesso modo». Ma allora quale è il consiglio per il risparmiatore “rimesso in chiaro”? «Sconsigliamo il fai da te - conclude -, mentre è necessario il supporto di una figura professionale (private banker, promotore, consulente indipendente, rete bancaria) che sappia indirizzare le scelte verso un obiettivo di efficienza del portafoglio che si va a costruire, con una piena integrazione tra la componente immobiliare, quella previdenziale e finanziaria e una forte valorizzazione del capitale umano, rappresentato dal soggetto stesso. In un'ottica di trasparenza queste somme vanno riportate all'interno del patrimonio».

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