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Dossier Preparare subito l'avvicendamento di dopodomani

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    Preparare subito l'avvicendamento di dopodomani

    «Molti pensano che se ai figli si trasferisce un patrimonio liquido invece che un'azienda tutto possa filare più liscio. Invece la differenza è la formazione dei figli e l'organizzazione del patrimonio». Sulla qualità dei passaggi generazionali di patrimoni la pensa così Gianmario Corniola, managing partner di Euroforia, European Family office, che nella sua vita professionale ha curato gli interessi di una quindicina di imprenditori di medie dimensioni, con patrimonio liquido compreso tra i 30 e i 150 milioni.
    «Se l'azienda è gestita da manager validi, la struttura è professionale e magari la società è anche quotata in Borsa, il passaggio delle azioni da azionista-genitore ad azionista-figlio può essere abbastanza sereno - continua Corniola -. Lo stesso vale per un patrimonio finanziario dove sono stati fissati gli obiettivi di lungo termine e scelte le strutture più idonee a gestirlo e preservarlo. Se, invece, figli che non sono stati sufficientemente formati ricevono un grosso patrimonio liquido ma nessuna eredità in termini di “organizzazione e funzione familiare di quel patrimonio”, allora è probabile che facciano degli errori o semplicemente siano distratti dalle avvincenti dinamiche dei mercati finanziari senza prestare la necessaria attenzione alla rotta da seguire nel lungo periodo».

    È ampia la casistica delle situazioni possibili. In mezzo, storie di trasferimento ordinato delle risorse da una generazione all'altra, pianificato professionalmente e nella piena consapevolezza di tutti i soggetti coinvolti. Transizioni che, comunque, difficilmente avvengono senza complicazioni, soprattutto se parliamo di business di un certo tipo, aziende di certe dimensioni, patrimoni familiari variamente distribuiti.

    «Gestire un'azienda e gestire un importante patrimonio finanziario sono attività molto diverse tra loro - commenta ancora Corniola –. L'imprenditore è abituato ad amministrare dipendenti, sviluppare e realizzare prodotti di successo, confrontarsi con la concorrenza, raggiungere gli obiettivi aziendali. L'investitore invece non ha un prodotto da sviluppare e vendere e non ha concorrenti con cui confrontarsi. Riceve però tanti stimoli dall'esterno, ma anche sollecitazioni che arrivano dall'interno della famiglia (esigenze, aspirazioni, preoccupazioni, paure). Pertanto l'attività su cui l'ex imprenditore ha già un certa esperienza e da cui è necessario partire è la definizione degli obiettivi che si vogliono assegnare al patrimonio familiare».

    Obiettivi che, lo raccomandano family officer, wealth manager e professionisti della gestione patrimoni ragguardevoli, devono essere molto ben dettagliati ed esplicitati e non possono ridursi a fissare un target di rendimento del patrimonio (quali ritorni, quale volatilità si tollera, quali flussi di cassa sono necessari, quali destinazioni finali per i vari figli).

    «Raramente i commercialisti o i notai italiani consigliano il trust, nonostante che tale istituto sia ammesso in Italia dal 1991 ed esista ormai una consolidata giurisprudenza civile e fiscale - sottolinea Stelvio Bo,amministratore delegato del family office BonoPlus –. Perché? In due parole, provincialismo e pigrizia. Eppure esiste in Italia una associazione che lo promuove (Il trust in Italia), come strumento adeguato alle esigenze di gestione e trasmissione dei patrimoni, anche di quelli di entità non rilevante, uno o due milioni di euro per intenderci. E anche le banche, che pure danno un servizio importante, sono spesso impacciate dal conflitto di interessi. Per questo è necessario avere una singola persona in grado di governare l'intero processo al servizio del cliente. Il candidato a questo lavoro è naturalmente indipendente e remunerato a parcella, sia un singolo individuo sia una struttura più articolata (family office). La struttura burocratica delle banche mal si presta ad avere un punto sintetico di responsabilità, per le note logiche di suddivisione del lavoro e di specializzazione tecnica».

    Dopo l'individuazione della figura giusta da cui farsi accompagnare «occorre dare al patrimonio un assetto tale che possa essere relativamente semplice da monitorare e da gestire (quanti conti, quante e quali controparti, che tipo di mandati di gestione, quale struttura di controllo) - continua ancora Gianmario Corniola -: un family office porta metodo ed organizzazione, per far sì che gli interessi della famiglia siano sempre tutelati nei rapporti con i terzi». Chiaramente ogni strategia non può perdere di vista i trend di mercato, come suggerisce Andrea Zanella, consulente indipendente. «I prodotti esenti da tasse di successione hanno caratteristiche poco interessanti dal punto di vista dei rendimenti - dice -: i bond statali e sovranazionali offrono redditività modestissime, mentre le polizze vita con gestione separata avranno rendimenti decrescenti nei prossimi anni, oltre a presentare costi di ingresso e gestione elevati. Per le polizze non legate alle gestioni separate ma collegate a fondi comuni il discorso sui costi è analogo. Il rischio è di veder svanire completamente il vantaggio dell'esenzione della tassa di successione».

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