Economia

Authority, spese fuori controllo

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Regole e incentivi

Authority, spese fuori controllo

  • –Raoul de Forcade

Negli ultimi anni, nonostante la crisi globale e quella, più lunga profonda, strettamente italiana, le spese correnti delle Autorità portuali sono aumentate notevolmente, quasi del 43%. Lo si riscontra analizzando i numeri riportati nei rapporti del ministero delle Infrastrutture e trasporti sulle attività delle port Authority italiane. Il dato, che comprende le uscite per il funzionamento, per il personale, per prestazioni istituzionali e così via (e non quelle per investimenti e opere) mostra che, nonostante le operazioni di spending review e maggiori entrate dai canoni, i porti continuano ad avere spese crescenti.

Prendendo in esame il periodo 2006-2013 (l’ultimo report ministeriale risale a due anni fa) si vede che, a fronte di una flessione del totale delle merci movimentate sui terminal, pari a -8,1%, e di una diminuzione dei passeggeri (-10,8%) si rileva un aumento dei canoni di concessione e autorizzazione del 31,4%. Nel 2006, peraltro, le Authority non introitavano ancora il gettito della tassa erariale sulle merci e della tassa di ancoraggio (che sino a quell’anno restavano nella disponibilità dello Stato); dal 2007 in poi (grazie alla legge 296/2006), queste tasse si sono aggiunte. Ciò nonostante tra 2007 e 2013 le tasse portuali hanno subito un ulteriore aumento del 30,5%, dovuto anche all’adeguamento Istat del 2012 . Per contro, guardando alla uscite correnti, ci si accorge che, nell’arco degli otto anni presi in esame, queste aumentano del 42,8%.

Di fronte a questo quadro, Assoporti respinge critiche sull’andamento delle Autorità portuali. Le quali, sottolineano i tecnici dell’associazione, «sono riuscite a incassare il 31,4% di canoni demaniali in più», ma avrebbero messo in atto anche una «gestione virtuosa delle spese. Fra il 2006 e il 2013 le uscite per il personale sono aumentate del 24,3% il che corrisponde al livello di inflazione più all’onere derivante dal rinnovo del contratto, mentre le altre uscite per l’acquisto di beni e servizi in particolare (-57,7%) e per le uscite degli organi dell’ente (-6,4%) sono tutte in calo».

Pasqualino Monti, presidente di Assoporti, parla, dunque, di «coerenza con gli obiettivi di risanamento del sistema» e afferma che «ora sarebbe il caso di guardare avanti. Dobbiamo preoccuparci di come proiettare le Autorità portuali sul mercato internazionale con strumenti nuovi ed efficaci, anche di governance ».

Resta il fatto che, se si considerano il consuntivo 2006 del settore portuale nazionale e quello 2013, si vede che le uscite di funzionamento passano da 165,44 milioni a 135,85; quelle per gli organi dell’ente scendono da 7,78 milioni a 7,28; quelle per il personale salgono da 81,58 milioni a 101,38; quelle per l’acquisto di beni e servizi calano da 64,32 milioni a 27,19; gli oneri finanziari e tributari passano 11,74 milioni a 13,89. Ma le altre uscite correnti si impennano da 28,02 milioni a 57,96 e, nel rendiconto 2013, appare la voce «uscite per prestazioni istituzionali» che non compariva nel 2006 e che ammonta a 68,47 milioni. Alla fine, il totale delle uscite correnti del 2006 è pari a 193,47 milioni, contro i 276,19 del 2013 (+42,8%).

«I canoni demaniali – afferma Marco Conforti, presidente di Assiterminal, sono aumentati del 30% in ragione di una diminuzione dei traffici; questo rende meno competitiva l’offerta dei terminalisti italiani». Riguardo alla spesa corrente, Michele Pappalardo, presidente di Federagenti commenta: «Se la metà dei porti italiani è commissariata e la spesa aumenta vorrà dire qualcosa. Il sistema non funziona e si sta incancrenendo. In merito, poi, agli aumenti delle tasse portuali, scattati, dopo anni di stasi, dalla sera alla mattina in un momento di crisi, sono dovuti ad un’assoluta mancanza di programmazione e di conoscenza del mercato a livello centrale. Perché i porti devono essere competitivi».

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