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Concerti, exploit degli incassi

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Industria

Concerti, exploit degli incassi

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Gli incassi crescono del 6% e gli spettatori aumentano di 5 punti percentuali. Alla faccia della crisi dei consumi, il business della musica dal vivo qui in Italia gode di ottima salute.

Lo testimoniano i dati di Assomusica, associazione di categoria dei principali organizzatori di concerti che fotografa un 2014 da incorniciare e “prevede” un bilancio di chiusura 2015 ancora una volta contrassegnato dal segno più, grazie all'apporto fondamentale dei tour negli stadi. L'anno scorso si è chiuso a tutto volume: se si considerano i soli concerti a pagamento, nello Stivale sono stati organizzati 3.664 spettacoli, per una crescita del 25,9% sul 2013. Gli incassi sono saliti del 6,2%, portandosi a quota 221,3 milioni, trainati da un “popolo” di 6,1 milioni di spettatori (+5,1%). Il grosso del mercato sta tutto a Nordovest, dove si registrano incassi da 95,6 milioni. Se poi ai dati degli spettacoli a pagamento si sommano gli incassi provenienti da altri tipi di manifestazione (come feste di piazza ed eventi pubblici, promossi da istituzioni o privati) il giro d'affari delle 120 aziende di settore arriva intorno ai 400 milioni. «Il momento è positivo – commenta Vincenzo Spera, presidente di Assomusica – e ci sono tutte le premesse perché il 2015 ci regali ancora una crescita stimabile tra i tre e i quattro punti percentuali».

La differenza la fanno i grandi nomi nazionali e internazionali, soprattutto quando si esibiscono negli stadi «e quest'anno – continua Spera – possiamo già contare su un carnet di appuntamenti importanti, con il ritorno di Vasco Rossi, Jovanotti e Ligabue sul versante italiano, ma anche pezzi da novanta come U2, Madonna, AC/DC, Bob Dylan ed Elton John». Occhio però a interpretare i dati: «Fatturati in crescita – prosegue il presidente di Assomusica - non coincidono sempre con più utili per chi fa questo mestiere, un po' perché le produzioni internazionali diventano sempre più costose, un po' perché scontiamo una legislazione arcaica che, per paradosso, penalizza chi fa business con la cultura». Per capirci: il settore, intorno al quale tra diretti e indotto gravitano 400mila addetti, si autosostiene. Non c'è accesso al Fus, le sponsorizzazioni riguardano solo i grandi festival, mentre i contributi degli enti pubblici, tra prima e dopo la spending review, «sono calati – secondo Spera – del 75%».

E ci sono dei veri e propri assurdi normativi: la legge di riferimento è la 800 del 1967, alba dello show business come lo conosciamo. Ecco allora che, se organizzi un concerto di musica elettronica, versi un 22% di Iva, un 16% di imposta sugli intrattenimenti e un 10% di diritto d'autore, per un “carico” complessivo del 48 per cento. Come fosse una serata in discoteca. Per un concerto tradizionale versi invece 10% di Iva e 10% di diritto d'autore. «Ma oggi – spiega Roberto De Luca, presidente di Live Nation Italia che con 100 milioni di fatturato è azienda leader del settore – certi steccati sono saltati: non puoi dire che i Coldplay meritano una tassazione agevolata e i Daft Punk no, solo perché fanno musica elettronica. In questo modo terremo lontano dall'Italia una segmento importante del mercato». Da qui la sfida delle imprese italiane che, da qualche mese a questa parte, si sono lanciate in pressing sul ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, chiedendo una revisione delle leggi di riferimento.

«Il settore – continua De Luca – merita maggiore considerazione». E al tempo stesso, secondo Mimmo D'Alessandro di D'Alessandro e Galli, player da 32 milioni di fatturato e un portafoglio artisti che spazia da Paul McCartney ai Rolling Stones, «meno burocrazia. È una follia il fatto che montare un palco in Italia equivalga ad aprire un cantiere. Anche a Lucca, dove da decenni organizziamo il Summer Festival e certi meccanismi dovrebbero essere automatici». Secondo Claudio Trotta di Barley Arts, storico impresario il cui nome qui da noi è sinonimo di Bruce Springsteen, «c'è ancora difficoltà a comprendere che la musica dal vivo genera economia. Eppure non dovrebbe essere così difficile. Facciamo lavorare treni, alberghi, ristoranti». Perché l'investimento per il biglietto, nel budget di chi va a vedere un concerto fuori porta, è quasi un dettaglio.

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