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    Il vino siciliano diventa protagonista di una nuova visibilità internazionale

    Il vino siciliano punta sull'export, in particolare sugli Stati Uniti e sulla Cina, e sull'enoturismo. «Il 2015 sarà un anno cruciale - osserva Francesco Ferreri, presidente di Assovini, associazione dei produttori siciliani-. Grazie al cambio euro-dollaro e a un importante progetto di promozione negli Usa contiamo di guadagnare, sul medio periodo, quote di mercato».

    Inoltre aumentano velocemente i flussi di enoturisti. «In questi anni - aggiunge Ferreri - le nostre imprese hanno investito molto nell'enoturismo e nell'accoglienza, creando infrastrutture, percorsi, eventi. Tanto che il 93% dei soci dispone di spazi dedicati ai visitatori e il 40% di ricettività alberghiera, mentre il 68% offre servizi di ristorazione». Oggi il numero medio annuale di visitatori per azienda ha raggiunto quota 3.700, con il 55% di italiani e il resto proveniente dall'estero. «Un dato rilevante - dice il presidente di Assovini - se si pensa che gran parte delle piccole aziende realizza le vendite direttamente in cantina».

    Assovini Sicilia associa una settantina di aziende che complessivamente realizzano un fatturato di 250 milioni. Circa 100 milioni l'export; mediamente le aziende operano in 22 Paesi, ma alcune superano anche le cento destinazioni.

    Un sistema complesso, quello del vino siciliano, fatto di grandi cantine (sempre più grandi, visto che la superficie media coltivata per azienda è passata dai 3,7 ettari del 2000 ai 6,3 del 2010, secondo l'ultimo censimento dell'agricoltura) e di piccole cantine (il cui numero è stato fotografato in contrazione nel 2010, come in calo è la superficie vitata: -33.358 ettari dal 2000 al 2013, secondo il rapporto “Vino in cifre” del Corriere vinicolo). «Le piccole cantine - spiega Ferreri - danno più valore al territorio e garantiscono la biodiversità mentre le grandi fanno da traino: tutte insieme costituiscono un sistema e fanno il bene della Regione».

    Secondo i dati di Assovini, ogni azienda associata coltiva e valorizza circa 9 vitigni diversi, dagli internazionali a quelli autoctoni. Questi ultimi rappresentano il vero patrimonio regionale, ancora in gran parte inesplorato. Per questo motivo il 38% dei soci di Assovini Sicilia conduce sperimentazioni in vigneto, riguardanti nell'86% dei casi varietà autoctone.

    Ma molto resta da fare, per crescere. Soprattutto oltreconfine, visto che l'export non riesce a decollare, nonostante l'esponenziale aumento della qualità e dell'interesse estero in atto. «L'anno scorso - osserva Paolo Angius, vicepresidente di Banca Nuova, molto attiva nel credito al vitivinicolo - il vino siciliano ha inciso per meno del 2% sull'export complessivo italiano, contro il 32,7% del Veneto e il 14,9% della Toscana. Ci sono ampi margini di miglioramento, considerato che la Sicilia, con oltre 100mila ettari, è il primo territorio vitivinicolo italiano per superficie vitata». Nonché la prima regione per ettari destinati alla coltivazione biologica della vite: 25mila, pari al 38% del totale nazionale.

    Il vigneto siciliano (che pure ha subito una drastica riduzione, dai 300mila ettari del 1886, in linea con il calo italiano) è confrontabile con quello di interi Paesi, come Australia (133mila ettari), Cile (132mila), Sudafrica (100mila) e Nuova Zelanda (35mila). La produttività della Sicilia è però bassa, 52 ettolitri/ettaro, come le rese delle Dop bordolesi (49-50). La Sicilia offre inoltre un panorama ricco di vitigni autoctoni: il 60% della superficie è occupato dalle varietà Catarratto, Nero d'Avola, Grillo e Insolia, cui vanno aggiunte almeno una quindicina di altre uve (Zibibbo, Frappato, Perricone, Nerello Mascalese e altre). Nel 2011 è stata riconosciuta la Doc Sicilia e l'anno dopo si è costituito il Consorzio di tutela vini Doc Sicilia.

    «Il primo obiettivo del consorzio - spiega il presidente Antonio Rallo, anche amministratore delegato della cantina Donnafugata - è offrire l'opportunità alle Doc già esistenti, caratterizzate da piccole produzioni difficili per il consumatore da collocare in una specifica area geografica, di accostare al nome in etichetta la denominazione geografica aggiuntiva Sicilia. Se si mettono insieme più forze si aumentano le possibilità di successo». E per diffondere la conoscenza della variegata realtà siciliana, il Consorzio Doc Sicilia ha avviato un piano promozionale concentrato negli Stati Uniti da 1,5 milioni. Mentre 14 aziende che fanno riferimento alla Pro.Vi.Di. Sicilia hanno appena annunciato che investiranno, nel triennio 2015/2017, 4,6 milioni di euro per la promozione in Cina. Il progetto conta sui contributi Ocm (Organizzazione comune dei mercati agricoli) che la Regione Siciliana e l'Unione europea cofinanziano.

    «Condivido la scelta di puntare sugli Usa - dice Diego Cusumano, dell'omonima cantina palermitana -. Meglio concentrarsi su un grande mercato che disperdere i fondi in mille rivoli e in Paesi meno promettenti. Quanto alla mia azienda, nel primo trimestre cresce dell'8%, come nel 2014. Sui mercati internazionali raccogliamo i frutti di anni di investimenti: la Sicilia ha saputo dare valore al brand e a un buon rapporto qualità-prezzo. La crisi può trasformarsi in un'opportunità di crescita». Cusumano sta investendo quattro milioni, acquisendo aree intorno all'Etna. «Abbiamo 18 ettari - spiega - ma vogliamo arrivare a 30».

    Anche Duca di Salaparuta si è rafforzato. «Con un investimento di 36 milioni dal 2001, dopo l'acquisizione da parte del gruppo ILLVA Saronno - spiega il direttore generale, Filippo Cesarini Sforza -, abbiamo aggiornato le cantine, acquisito nuove tenute e sviluppato l'enoturismo, che porta nelle sole cantine Florio 50mila visitatori all'anno. Il 30% degli 11 milioni di bottiglie prodotte all'anno (con i brand Duca di Salaparuta, Corvo e Florio) è destinato all'export. Una quota in aumento».

    E all'estero sale la considerazione dei vini siciliani. La “bibbia” del vino «Wine spectator» ha dedicato all'isola la copertina del numero di ottobre 2014, descrivendo un «rinascimento spinto dalla passione e dalla determinazione», seguita a ruota da «Wine enthusiast», che ha titolato ad aprile «Il futuro radioso della Sicilia». Inoltre, due etichette isolane sono state inserite nella Top 100 mondiale di «Wine spectator» (che sta al vino come vincere un Oscar sta al cinema): Firriato Santagostino Baglio Sorìa rosso 2011 (una riconferma per l'iconica cantina ecosostenibile della famiglia Firriato) ed Etna rosso 2012 Tenute delle terre nere, dell'importatore americano Marc de Grazia. Bottiglie proposte sul mercato americano a 22 dollari, citate in classifica assieme ai grandi vini francesi e californiani (della Napa valley e della Sonoma county) da oltre 100 dollari.

    In primo piano anche i big storici come Planeta, Duca di Salaparuta, Tasca d'Almerita, Rapitalà e la cantina regina del Marsala Marco De Bartoli (ora portata avanti dai figli, che stanno puntando anche su altri vini e persino su un metodo classico da uve Grillo). Punteggi elevati nelle degustazioni anche ai bianchi e ai rossi di Cos (acronimo dei cognomi dei proprietari Cilia-Occhipinti-Strano), ai vini dell'Etna di Ciro Biondi e di Benanti e al Cerasuolo dell'emergente Arianna Occhipinti, due volte star sul «New York Times» (che ha elogiato anche il Nero d'Avola della cooperativa Centopassi, da terre confiscate alla mafia). In questo quadro, non poteva mancare una forte presenza dei calici siciliani all'Expo 2015 in corso a Milano. A partire da Cantine Settesoli,la cooperativa di 2mila viticoltori su 6mila ettari di terre, con 25 milioni di bottiglie vendute (il 70% delle quali all'estero). La maggiore azienda vitivinicola siciliana, che si definisce il più grande vigneto d'Europa ed è forte dei brand Settesoli e Mandrarossa, è presente non solo nel padiglione “Vino - A Taste of Italy”(con altre 23 aziende siciliane), ma anche nel cluster Bio-Mediterraneo, all'interno di “The Waterstone” di Intesa Sanpaolo e nella Premium lounge del padiglione di Alitalia Etihad.

    Anche Planeta, cinque cantine in tutta la Sicilia e una quota export al 55%, è all'esposizione universale in più padiglioni (fra cui lo spazio Eataly dedicato alla Italian signature wine academy). In degustazione all'Expo anche i vini di tre colossi del Nord scesi in Sicilia: quelli del Feudo Arancio di Mezzacorona, del Feudo Principi di Butera della Casa vinicola Zonin e della Tenuta Rapitalà del Gruppo italiano vini. Fra gli “autoctoni” siciliani, invece, spiccano quelli di Valle dell'Acate, cantina gestita da Gaetana Jacono e Francesco Ferreri (il presidente di Assovini), «degustati fra tanti consensi», riferisce la contitolare. Tutti pazzi, in Italia e all'estero, per i vini siciliani.

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