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Dossier Se l’Europa perde il treno del commercio globale

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    Se l’Europa perde il treno del commercio globale

    La Commissione Europea, se effettivamente lavorasse per la crescita dell'Unione, dovrebbe rendersi conto che sta perdendo il prossimo treno verso l'integrazione del commercio mondiale. Meglio così, penserà qualcuno con inclinazione no global. Miopia pura: la questione non è cosa l'Europa decida o non decida di fare. Il problema è che gli altri vanno avanti nel disegnare un nuovo ordine commerciale globale mentre l'Europa rimane al palo, dimenticandosi che il gioco in questione è strategico, non unilaterale.

    Queste note pessimistiche mi vengono dallo stato del negoziato sugli accordi economici transatlantici (Transatlantic Trade and Investment Partnership) tra Europa e Stati Uniti rispetto a quelli transpacifici tra Stati Uniti, Giappone e altri 10 Paesi (la Trans-Pacific Partnership- TTP), ben riflesso in due eventi chiave delle ultime settimane.

    Il primo è lo storico viaggio americano del capo del governo giapponese Shinzo Abe, che chiede al parlamento americano di concedere al più presto il così detto ‘Fast Track', ossia il potere speciale per negoziare un accordo commerciale (Trade Promotion Authority), al presidente Obama. Il Fast Track permette infatti al Presidente di sottoporre un trattato commerciale all'approvazione del Congresso a scatola chiusa, ossia prendere o lasciare e toglie ai parlamentari la possibilità di intervenire su specifici dettagli dell'accordo. In altri termini, definisce le uniche condizioni possibili perché un accordo della portata del TPP o del TTIP possa essere approvato, nonostante la pressione di infinite lobby e lobbyine contrarie.
    La perorazione di Abe è di grande tempismo sia simbolico che concreto: l'accordo è infatti oramai vicino alla conclusione e la maggioranza repubblicana nelle due camere del parlamento rende probabile la concessione del fast track in tempi brevi.

    Il secondo evento è la decisione della Commissione Europea di alzare bandiera bianca sulla possibilità di imporre agli Stati membri regole vincolanti sull'importazione e l'utilizzo delle sementi geneticamente modificate. In altri termini i singoli Stati possono decidere di bandire semi geneticamente modificati anche se approvati dalla Commissione e fatto particolarmente grave, anche senza che la decisione sia scientificamente fondata. Sulla controversa questione degli OGM ogni opinione è lecita, ma rifiutare il principio scientifico per decidere cosa sia accettabile o no significa dare spazio alle emotività più controverse e minare il terreno su cui poter ragionare della questione in modo pacato e razionale. Tra l'altro questa impostazione rischia sia di violare la normativa comunitaria, rendendo assolutamente asimmetrico il contesto competitivo all'interno dell'unione, sia le regole della WTO sul libero scambio. E per quanto riguarda gli accordi transatlantici, dato che la questione OGM è fondamentale per la controparte americana, questa impostazione è una mina gravissima alla possibilità di chiudere l'accordo.

    Insomma, è dunque oramai certo che il TPP si concluderà prima, probabilmente molto prima del TTIP, il cui negoziato rimane in alto mare e in acque tempestose. Soprattutto se non si approfitterà della probabile finestra del fast track prima delle prossime elezioni.
    Perché questo esito è davvero grave per l'Europa? In primo luogo perché il baricentro degli scambi globali si sposteranno ancor di più verso l'area pacifica. E' l'esito standard di accordi commerciali tra un sotto-insieme di paesi che la letteratura di commercio internazionale definisce come trade diversion, ossia la riduzione degli scambi con i paesi al di fuori dell'area. Secondo, la frammentazione geografica dei processi produttivi, che sempre più caratterizza i flussi di commercio internazionale, avviene in aree geografiche con bassi costi commerciali, ossia all'interno di un area di libero scambio piuttosto che tra aree diverse. Ne consegue che l'attrattività dell'Europa come base produttiva di gruppi multinazionali con operazioni in Asia e in America si riduce. Terzo, diminuisce il potere contrattuale dell'Europa nel definire standard e regole compatibili con gli Stati Uniti. E' proprio dall'allineamento degli standard che deriverebbero i grandi vantaggi del trattato transatlantico (contrariamente a quanto sostiene Paul Krugman su queste colonne). Dopo il TPP gli americani potranno solo accettare regole che siano compatibili con quelle degli accordi trans-pacifici (per quanto gli standard abbiano meno peso nel TPP che nel TTIP). A cui alla fine dovremo in parte adattarci anche noi, senza essere stati in grado di influenzare l'agenda dei negoziati. La battaglia sugli OGM è dunque una battaglia di retroguardia, per difendere regole insostenibili, che limita la capacità dell'Europa di contribuire ad un'agenda negoziale costruttiva per definire regole accettabili a livello globale.

    Insomma un risultato fallimentare di un'Europa divisa. Un'Europa a cui è stata delegata la politica del commercio internazionale anche e forse soprattutto per resistere alle lobby protezionistiche nazionali e che in verità non ha l'autorità e la capacità di imporre alcunché ai suo Stati membri.
    La bandiera bianca di Juncker sugli OGM rende risibile il pensiero che il presidente della Commissione Europea, possa, così come Abe, perorare la causa del Fast Track al congresso Americano. E' chiaro che la politica commerciale nell'Unione europea non può che essere centralizzata, ma bisogna rendersi conto che l'interesse collettivo di un'Unione tanto complessa non può essere perseguito da un sovrano senza spada e senza scettro.

    barba@unimi.it

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