È un tassello centrale del Piano straordinario per il made in Italy. Il “dossier” fiere ha assorbito una buona parte del lavoro governativo per la definizione delle iniziative di rilancio dell’internazionalizzazione, finanziate con una dote complessiva di 260 milioni. Di questi, 48,2 milioni sono destinati al potenziamento del settore fieristico nell’arco di un triennio: 31 fiere in Italia e 7 all’estero, selezionate secondo una precisa griglia di requisiti. I fondi, secondo il principio ispiratore delle sinergie e della non sovrapposizione, vanno a premiare le kermesse che rispondono ad almeno due di questi requisiti: principale evento italiano per il settore di riferimento; numero complessivo degli espositori superiore a mille; percentuale di espositori esteri maggiore del 20% del totale; numero di visitatori maggiore di 100mila, di cui almeno il 20% esteri. Di qui l’elenco stilato, in cui figurano eventi vetrina del made in Italy, dalla meccanica alla moda.
Le fiere, negli obiettivi del governo, dovranno essere uno strumento determinante per intercettare nuovi flussi derivanti dalla domanda mondiale e dall’incremento della classe media nei mercati emergenti, sempre più orientata verso modelli di consumo vicini alle specializzazioni del manifatturiero italiano: la stima è di 800 milioni di nuovi consumatori “target” nei prossimi 15 anni.
L’attivismo del governo
La relazione illustrativa del decreto di attuazione del Piano made in Italy fornisce ulteriori elementi sulla strategia. L’Italia è, insieme alla Germania, il Paese europeo con la maggiore concentrazione di eventi fieristici internazionali. Tra questi, alcuni appuntamenti sono in grado di incidere significativamente sulla nostra “performance” esportativa e per questo motivo vanno supportati per fronteggiare la concorrenza di saloni ed enti fiera (principalmente tedeschi, francesi, inglesi) che possono contare su economie di scala di gran lunga maggiori. Di qui il progetto Fiere, testato con il Pitti di Firenze, che si articola su un mix di iniziative: massiccio piano di comunicazione sui media nazionali e internazionali; organizzazione di piani di ospitalità per selezionati buyer in incoming; inviti a giornalisti di testate specializzate di punta; organizzazione di eventi speciali “su misura” che coinvolgano anche i territori e i marchi più noti del made in Italy.
«Sarà importante valutare i risultati nel primo anno per vedere se potremo correggere qualcosa in corsa - spiega il viceministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda, coordinatore del Piano - . Una delle condizioni è l’addizionalità delle spese da finanziare rispetto a quelle sostenute dalla fiera nell’edizione precedente. Un altro elemento da rispettare è la non concorrenza tra manifestazioni che operano nello stesso settore: su questo punto finora c’è stato un buon riscontro, vedremo se l’intesa reggerà. Oltretutto ci aspettiamo qualche segnale anche dal Sud che finora non ha proposto iniziative di spessore internazionale adeguato». Il principio di base, aggiunge Calenda, «è la capacità di una fiera di essere leader, a prescindere dal settore: che sia il grande evento della moda o il salone delle macchine per l’imbottigliamento».
All’Expo, ricorda Calenda, è invece dedicato un progetto specifico, con una dote fino a due milioni per le delegazioni e gli incontri business. I primi risultati dicono che la manifestazione di Milano sta facendo da traino: molti operatori business prima visitano l’Expo, poi si recano alla loro fiera di settore. E all’esposizione universale spiccano tre quartieri fieristici: il padiglione Vino-A taste of Italy è di Veronafiere-Vinitaly, CibusèItalia è di Fiere di Parma-Federalimentare, mentre il Biodiversity park (con un percorso fra oltre 300 varietà di piante, omaggio alla biodiversità italiana, poi un teatro, due padiglioni, un bio store e un bio ristorante) è firmato BolognaFiere, in collaborazione con i ministeri delle Politiche agricole e dell’Ambiente.
Il ruolo dell’Ice
All’Agenzia per il commercio estero Ice il decreto di attuazione demanda il compito di coordinare il Piano made in Italy. Secondo il presidente, Riccardo Monti, la vera novità è il cambio di filosofia nel finanziamento delle iniziative fieristiche: «Selezioniamo gli eventi in grado di primeggiare nel proprio settore di riferimento e facciamo un lavoro specifico attraverso iniziative collaterali e con un budget mirato all’incoming, per aumentare il numero di buyer e di visitatori qualificati che arrivano dall’estero. Con un’attenzione particolare ai Paesi di riferimento per il settore interessato». Monti ribadisce che il sistema Pitti a Firenze ha fatto da laboratorio per mutuare esperienze e pratiche positive. Per quanto riguarda invece le iniziative in programma all’estero, prosegue Monti, «il modello di riferimento deve essere la sinergia che proprio in questi giorni va in scena a Chicago, con tre grandi marchi fieristici dell’agroalimentare - Vinitaly, Cibus e Tuttofood - alleati in unico evento».
Il punto di vista delle fiere
Per Giuliana Ferrofino, presidente del Comitato Fiere industria di Confindustria, il primo pregio del Piano è «riaffermare il ruolo delle fiere specializzate settoriali quale strumento insostituibile di politica industriale». Dalle iniziative, aggiunge, ci aspettiamo «ricadute positive sul sistema con l’obiettivo primario di rafforzare e sviluppare l’incoming alle fiere italiane di rilievo internazionale che rappresentano il primo approccio delle imprese, specialmente le Pmi, con il mercato globale». Guardando al prossimo futuro, secondo Ferrofino «un ulteriore passo per valorizzare il sistema è lo sviluppo della certificazione dei dati fieristici, secondo le norme internazionali».
«Per il 75% delle imprese italiane - ricorda Ettore Riello, presidente di Aefi (Associazione esposizioni e fiere) - le manifestazioni fieristiche sono il canale più efficace di promozione sui mercati e strumento fondamentale per lo sviluppo del business. E il Piano governativo è un importante riconoscimento, utile per rafforzare le iniziative di incoming di operatori esteri, organizzare eventi oltreconfine e sviluppare strumenti per facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta». Con un occhio attento, sottolinea Riello, ai cambiamenti in atto per le manifestazioni fieristiche, «che sono sempre meno spazi fisici in cui esporre e sempre più partner e consulenti per il business delle aziende, in grado di accompagnarle nella definizione di strategie tailor made».
Un settore in evoluzione, dunque, quello delle fiere. Per la prima volta, ad esempio, gli operatori hanno dovuto elaborare piani pluriennali per sviluppare l’attrattività internazionale, su richiesta del Piano governativo. E i loro risultati saranno valutati anno per anno. «Abbiamo chiesto noi al governo di essere monitorati annualmente, per verificare che ci sarà veramente un ritorno all’investimento pubblico - spiega Carla Demaria, presidente di Ucina (la Confindustria nautica), organizzatrice del Salone nautico insieme a Fiera di Genova -. Con gli 1,5 milioni di fondi attribuiti (dei quali 950mila già approvati e il resto in fase di approvazione), ci siamo impegnati a fare un salone più brillante, con più espositori e servizi migliori. Ben venga il monitoraggio pubblico» .
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