Un profondo restyling per i vini dell'Emilia-Romagna. È l'ambizioso obiettivo al quale sta lavorando l'Enoteca regionale dell'Emilia-Romagna, d'intesa con l'amministrazione regionale. L'obiettivo è riposizionare le etichette e far pesare maggiormente sul settore turistico l'asset dell'enogastronomia.
Un restyling per rilanciare la viticoltura di quella che con una produzione 2014 di 6,6 milioni di ettolitri (-10% rispetto al 2013) è la seconda regione produttrice di vino in Italia (alle spalle del Veneto) e la quinta maggiore esportatrice (con un giro d'affari estero di 309 milioni di euro). Una ristrutturazione che punta innanzitutto sui nuovi prodotti e sulla riscoperta di etichette affermate. Tra i primi il più interessante al momento è il Pignoletto. Uno spumante bianco (ma in misura ridotta esiste anche la tipologia di vino fermo) che negli ultimi anni in Italia è stabilmente tra i vini che mostrano le migliori performance nella grande distribuzione organizzata. «Il Pignoletto – spiega il presidente dell'Enoteca regionale, Pierluigi Sciolette –, complice anche il favorevole momento dell'intero segmento degli spumanti made in Italy, negli ultimi quattro anni sugli scaffali della Gdo è cresciuto al ritmo del +10% l'anno».
Un vero e proprio boom che ha anche favorito una revisione delle regole. «Sulla falsariga del Prosecco – aggiunge Sciolette – anche noi nel nostro piccolo (se ne producono circa 10 milioni di bottiglie contro gli oltre 300 milioni dello spumante veneto) abbiamo riscritto le regole produttive puntando sul nome geografico Pignoletto, che è un paese dei colli bolognesi e non il nome del vitigno». In questo modo si è arrivati al varo di un Pignoletto Docg dei Colli Bolognesi, che rappresenta una nicchia della più ampia area del Pignoletto Doc.
Ma la revisione di quello che al momento è l'”hot brand” dell'enologia emiliano-romagnola è solo un aspetto del più profondo restyling. «Stiamo lavorando alla caratterizzazione di quattro grandi macroaree – aggiunge Sciolette –: quella del Sangiovese di Romagna, quella del Pignoletto (da Bologna a Modena e a Ravenna), il territorio dei Lambruschi (che va da Modena a Reggio Emilia e a Parma) e infine l'area della Malvasia (Piacenza e Parma) e del Gutturnio (Piacenza). Territori nei quali grazie al lavoro di alcune cantine (nel Lambrusco in prima fila ci sono le etichette Ceci e Medici Ermete) i vini della nostra regione stanno uscendo da una fase di sottovalutazione se non di vero e proprio anonimato».
Risale allo scorso anno ad esempio, la “prima volta” sulla celebre rivista Usa Wine Spectator di un Lambrusco, a cui è seguito l'inserimento da parte della rivista britannica Decanter di ben due Lambruschi nella classifica “Top 50 wines of 2014”.
Ma la vera scommessa è ora quella sul turismo. «La strada per qualificare il vino emiliano-romagnolo è quella di legarlo ai territori – dice ancora il presidente dell'Enoteca regionale –. La leva da azionare è quella della Via Emilia, che ha più di 2mila anni di storia e attraversa borghi e città ricche di monumenti e di fascino. Legando questo percorso agli itinerari gastronomici e quindi ai vini che si producono nei differenti territori, siamo convinti che si possa valorizzare anche questa parte importante della nostra regione che non ha nulla da invidiare ad altri e finora più blasonati territori del vino made in Italy».
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