Dalla Sardegna alla Puglia, dal Veneto alla Sicilia. Una nuova ondata di ricorsi si sta materializzando contro la mappa dei luoghi ”potenzialmente idonei” a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti nucleari di cui l'Italia sta cercando di dotarsi, senza alcun successo, da anni. L'ultima flebile speranza di trovare una soluzione? Ecco l'operazione trasparenza, a due facce. Debutta un sito Internet (www.depositonazionale.it) dove si tessono le lodi dell'operazione e si promette di pubblicare tutto, davvero tutto, ciò che i cittadini avrebbero diritto di sapere.
Ed ecco, in parallelo, una mega campagna pubblicitaria: un inno alla massima trasparenza, alle garanzie per il cittadino, ai benefici per le comunità locali in termini di ricadute sugli affari e sull'occupazione. Tv, radio, giornali e social media: la “divulgazione” durerà quattro mesi. Costo: 3,2 milioni di euro.
Il Governo ha affidato l'operazione direttamente dalla Sogin, la società pubblica che ha in mano la bollentissima patata del decommissioning nucleare, ovvero lo smontaggio ormai biblico (è ancora in corso) delle vecchie centrali nucleari italiane chiuse con il referendum del 1987, oltre alla messa in sicurezza delle scorie e la loro gestione insieme ai detriti radioattivi che l'Italia continua comunque a produrre con l'attività medica e industriale.
Corsa ai rinvio
La mappa delle aree idonee, ultimo passaggio prima del dibattito per piazzare il deposito unico, doveva essere pubblicata, al termine di una lunga sequenza di rinvii, nella primavera scorsa. Ma ad aprile l'ennesimo rinvio, per non “turbare” (così aveva pubblicamente detto il governo) le elezioni amministrative alle porte. Ora il nuovo slittamento a fine agosto. In uno scenario che anziché trovare motivi di chiarimento rischia di complicarsi ulteriormente.
La necessità assoluta del deposito nazionale si spiega da sé. Siamo sommersi da rifiuti nucleari vecchie nuovi, che rappresentano ogni giorno un pericolo per tutta la popolazione italiana: al materiale delle vecchie centrali nucleari si aggiungono circa 500 metri cubi l'anno. Ora siamo a 75mila metri cubi. Un imbarazzante fardello che continuiamo a conservare, e ad accrescere, in 23 siti “provvisori” piazzati in 11 regioni. Nelle vecchie centrali nucleari chiuse da quasi 30 anni (Caorso, Trino Vercellese, Latina, Garigliano), nei centri di ricerca come quelli dell'Enea o dell'Istituto di fisica nucleare, in qualche laboratorio.
Nel frattempo la mappa di idoneità prodotta dai tecnici dell’Ispra e della Sogin, oggetto nei mesi scorsi di un ripetuto palleggio con il Governo in in nome di non ben specificati “chiarimenti e approfondimenti”, minaccia di caricarsi persino di qualche pesante incognita aggiuntiva. Vediamo perché.
Criteri e nebbie
Un anno fa il tracciato sembrava essere finalmente segnato con un po' di chiarezza. Era stato il nostro giornale a rivelare i contenuti (riservati e confermati ufficialmente solo nei giorni successivi) del documento elaborato dall'Ispra sui “criteri” con i quali costruire la mappa delle aree idonee. Il deposito non sarà sotterraneo-geologico come previsto anni fa nella fallimentare procedura “manu militari” che aveva portato alla designazione per decreto (poi ritirato a furor di popolo) della miniera salina di Scanzano Jonico. Il deposito, nella versione poi aggiornata del progetto, è diventato “di superficie” con annesso parco tecnologico di ricerca. Costo complessivo stimato (lo conferma anche il nuovo sito Internet): 1,5 miliardi di euro, di cui 650 miliardi per la localizzazione-progettazione-costruzione, 700 milioni in infrastrutture, 150 milioni per il parco tecnologico. Il tutto finanziatocon le bollette elettriche. Mentre risorse aggiuntive per un miliardo di euro, da finanziare anche con il contributo dei privati, daranno corpo - nelle intenzioni della Sogin - ai progetti di ricerca correlati.
Il deposito – si leggeva nel piano Ispra sui criteri e soprattutto sulle “esclusioni” - non si sarebbe dovuto comunque costruire nelle aree a rischio di terremoti o di instabilità geologica, sufficientemente lontano dalle grandi falde acquifere o da “risorse naturali già sfruttate di prevedibile sfruttamento”. O anche dai fiumi e dalle dighe. Mai a meno di 10 chilometri dalle coste marine. In ogni caso sarebbe dovuto sorgere ad adeguata distanza dei centri abitati, a più di un chilometro dalle autostrade e dalle principali strade extraurbane o dalle ferrovie, non ad un altitudine superiore a 700 metri, non su aree con pendenza media maggiore del 10%. Non nelle aree protette. Comunque lontano da luoghi di interesse archeologico e storico.
Ipotesi e incognite
E già qui i possibili aspetti inquietanti per la popolazione ne uscirono non attutiti ma semmai rafforzati. Perché mai sarebbe stato necessario proteggere manufatti di interesse storico? Da che cosa? Gli eventuali timori di piazzare una centrale vicino un monumento cosa nascondevano?
Cominciò tra le popolazioni un minuzioso gioco di incrocio tra i criteri e le caratteristiche dei luoghi. Molti cittadini si ritennero esonerati. Ad esempio coloro che abitavano nei luoghi delle vecchie centrali nucleari, tutte a ridosso dei corsi d'acqua per ragioni di raffreddamento dei reattori. Si considerarono esonerati persino tutti gli abitanti della Sardegna: i trasporti via nave del materiale radioattivo vengano ritenuti incompatibili con i criteri dell'Ispra. E comunque la Sardegna, come ben si sa, è occupata della maggior parte del suo territorio da luoghi costieri o montani.
E invece no. Anche il primo documento chiarificatore sta vistosamente traballando nelle nuove ambiguità. “Nessuna regione può dirsi pregiudizialmente esclusa” ripetono dal Governo e dalla Sogin. Chiarendo che a fine agosto arriverà una mappa da approfondire, da confrontare con tutti ma proprio tutti coloro che sono direttamente o indirettamente interessati: esperti, studiosi, centri di ricerca, amministratori locali, popolazioni. Che intanto possono andare sul sito Internet al debutto da ieri mattina e darsi una bella rinfrescata se non altro sulle promesse di trasparenza che continuano ad essere formulate. E che Il Sole 24 Ore ripropone qui a corredo, insieme ai documenti tecnici più utili.
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