Economia

Ora è l’Europa a fare rotta su Africa e Mediterraneo

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L’ANALISI

Ora è l’Europa a fare rotta su Africa e Mediterraneo

La bussola dell’energia segna nuove rotte e dissacra vecchi tabù. Dire che l’Eni fa la politica estera italiana è un errore: la multinazionale, prima azienda mondiale di tutta l’Africa per attività e investimenti, fa la politica di un intero continente, l’Europa. L’asse Nord-Sud, Africa e Mediterraneo, alternativo a quello Est-Ovest, ovvero alla Russia, è quello dove corrono oggi non solo le ambizioni di una società ma anche quelle della sicurezza energetica europea.

Presente in circa 90 paesi con più di 78mila dipendenti, l’Eni è il sesto gruppo petrolifero mondiale per giro d’affari, dietro a Exxon Mobil, Shell, BP, Total e Chevron. Un interlocutore privilegiato per chi definisce le strategie continentali. Certo che l’Eni fa politica ma a tutto campo, e non da oggi.

Negli uffici di Teheran della Nioc, la compagnia petrolifera di stato, una grande foto in bianco e nero dai riverberi color seppia mostra i tecnici dell’Eni di Enrico Mattei che nei primi anni 60 si arrampicavano come pionieri sui Monti Zagros. È appesa a quel muro dai tempi dello Shah e c’è rimasta anche dopo la rivoluzione degli ayatollah che nei libri di storia assegnano un ruolo di primo piano al presidente dell’Eni e al suo tentativo di fare concorrenza alle Sette Sorelle. Mossadeq nazionalizzò il petrolio e fu sbalzato dal potere nel ’53 da un colpo di stato anglo-americano, Mattei morì in un misterioso incidente aereo qualche anno dopo.

L’Iran, che attende la cancellazione delle sanzioni, è sempre nel mirino dell’Eni. E infatti la società sarà ospite d’onore quando verrà in Italia a novembre il presidente Hassan Rohani. Ma forse la Persia non è più la terra promessa di una volta: il gas iraniano, che abbonda nei giacimenti di South Pars, sottolineava in una recente visita a Teheran l’amministratore delegato Claudio Descalzi, non è così conveniente e la sua destinazione di consumo saranno i mercato orientali. Inoltre gli iraniani devono cambiare la tipologia dei contratti perché quelli esistenti non sono più appetibili per le grandi compagnie internazionali. E lo stesso gas dell’Azerbaijan non costituisce un’alternativa a quello russo: lo sarebbe se si potesse convogliare qui le gigantesche riserve del Turkmenistan ma la pipeline dovrebbe passare nel Caspio e la Russia non darà mai il suo consenso.

Per questo che la bussola dell’Eni e dell’Europa punta a Sud. Tra qualche giorno Descalzi incontrerà in Israele, dopo il presidente cipriota, anche il premier Benjamin Netanyahu: l’obiettivo è quello di costituire, mettendo a fattore comune le eccezionali riserve appena scoperte in Egitto, un grande hub del gas nel Mediterraneo sud-orientale. Il giacimento supergiant di Zohr presenta un potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas e un’estensione di circa 100 chilometri quadrati. Zohr è la più grande scoperta di gas mai effettuata nel Mediterraneo e può cambiare i dati strategici di un’intera regione, il Medio Oriente, che oggi ci appare soltanto come il teatro di guerre sanguinose e infinite. È chiaro che può influire sui destini di grandi Paesi come la Turchia, che si propone da sempre come un hub del gas, ma soprattutto di una superpotenza di ritorno come la Russia che vede nei nuovi progetti sia una minaccia che un’opportunità: anche per questo la battaglia di Aleppo è uno spartiacque, una sorta di Stalingrado del Levante.

Forse non un è caso che Descalzi prenderà sottobraccio il commissario europeo per il clima e l’energia, lo spagnolo Miguel Arias Cañete, e lo accompagnerà dal generale egiziano Abdel Fattah al Sisi: è con lui e con Maros Sefcovic, commissario per la sicurezza energetica, che si stanno definendo le linee strategiche per trovare un’alternativa alla Russia, come in parte lo sono già l’Algeria e la Libia dove se l’Eni, unica compagnia straniera a estrarre, chiude le operazioni si spegne anche la luce.

Così come Descalzi si è già portato in Africa il presidente del Consiglio Matteo Renzi, in Angola, Congo-Brazzaville e Mozambico, quasi da farlo sembrare una sorta di piazzista dell’Eni, in stati un tempo marxisti-leninisti e ora convertiti al liberismo clanico-tribale. Ma come si sarebbe detto un tempo: questo è il gas bellezza. E non andrà soltanto in Italia ma a tutta l’Europa: sostituire la Russia nel medio periodo è impossibile ma l’Eni ci sta provando.

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