
Sedici giovani talenti, divisi in quattro team, si sono sfidati a colpi di ingegno digitale per generare progetti da applicare ai trattori agricoli del futuro. È successo alla fine di settembre, a Padova, in una non-stop durata due giorni, in cui, alternando riposo e veglia, giovani ingegneri, professionisti e tecnici hanno partecipato alla prima edizione di “Carraro Blue Wave”, la maratona organizzata dal Gruppo Carraro e dalla start up AzzurroDigitale, concepita per applicare la digitalizzazione alla meccanica tradizionale, rendendola all’avanguardia e competitiva. Ha vinto la gara il team che ha presentato il progetto per il trattore “green e smart”, ovvero una macchina a trazione elettrica, integrata all’interno di una fattoria ecocompatibile, dotata di sensori hi-tech e di un cruscotto digitale in grado di interfacciarsi con gli utenti e di mettere in rete i dati in tempo reale.
Carraro Blue Wave è l’esempio più calzante per spiegare quello che sta succedendo in Veneto e qual è la direzione che sta prendendo l’industria regionale. La manifattura meccanica più tradizionale si fonde con la digitalizzazione, non solo a parole ma anche a fatti, perché cerca l’ingegno dei giovani e studia come applicare l’”Internet of Things” alla propria tradizione. Il digital manufacturing, cioè la diffusione generalizzata delle nuove tecnologie, trova terreno fertile in regione, come attesta anche la recente ricerca di Fondazione Make in Italy, stilata in partnership con Fondazione Nord Est e Prometeia, che evidenzia come la tecnologia 3D sia presente nel 34% delle imprese del Triveneto e la robotica nel 43,5%. «Accompagnare la manifattura verso scelte tecnologiche di punta può contribuire a generare crescita in termini di fatturato, redditività e occupazione - spiega Stefano Micelli, direttore scientifico di Fondazione Nord Est -. Sulle economie del Nordest è possibile ipotizzare un impatto pari ad un incremento di 1,7 miliardi di euro annui in termini di fatturato e di una maggiore occupazione stimabile in 8mila addetti». E non è un caso che DIGITALmeet, il più grande evento annuale italiano sull’alfabetizzazione digitale delle imprese, abbia avuto origine a Padova (si è concluso due giorni fa, il 25 ottobre, con numeri da record: 150 speakers, 70 eventi, 45 location diverse, tre regioni coinvolte).
«Il digital manufacturing è l’espressione più all’avanguardia del nuovo manifatturiero del Veneto - dice il presidente di Confindustria Veneto Roberto Zuccato - e sta permettendo alle aziende di offrire meno prodotti in serie e più personalizzazione di qualità. Risulta, quindi, evidente l’importanza di politiche a sostegno del nuovo manifatturiero, vera sfida per il tessuto produttivo».
La propensione al digital manufacturing è sicuramente uno degli elementi che ha contribuito a stabilizzare la ripresa economica in atto in Veneto e ad accrescere la produttività. I dati del secondo trimestre 2015 lo confermano: secondo Unioncamere Veneto, la produzione industriale ha registrato un incremento dell’1,8% su base annua (era +1,7% nel trimestre precedente) e dell’1,5% su base mensile (era +0,8% nel trimestre precedente). E sono in territorio positivo anche gli altri indicatori riguardanti il settore industriale: il fatturato totale ha segnato un +3% rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno; gli ordinativi sono in aumento del 2,4% rispetto al primo trimestre 2015.
Certo, non tutto va bene. Se da un lato si può parlare di costante consolidamento della ripresa, dall’altro restano in regione delle “sacche” di sofferenza: il settore delle costruzioni, ad esempio, che si trascina l’indotto dell’arredamento, degli elettrodomestici, dei servizi per la casa, ha segnato una progressione di fatturato nel secondo trimestre dell’anno dello 0,2% rispetto allo stesso periodo 2014, segno che non c’è movimento ma solo galleggiamento.
Tra gli imprenditori comunque, dopo le incertezze degli scorsi mesi, emerge ora ottimismo nei confronti del futuro. Una ricerca di Fondazione Nord Est, elaborata per Il Sole 24 Ore, ha raccolto l’opinione di 284 grandi imprese del Triveneto: per il 37,6% di loro l’Italia tornerà a correre nel giro di due anni, mentre il Nordest anticiperà la crescita e tornerà a pieni giri già nell’arco di un anno per il 40,6% del panel (la maggioranza relativa). Per quanto riguarda la macrotendenza che influenzerà di più lo sviluppo futuro, gli imprenditori ne indicano più di una: dalle esigenze di sostenibilità (green, responsabilità sociale eccetera) ai mutamenti tecnologici (automazione, smart cities), dai processi demografici alla globalizzazione, «segno del fatto che gli imprenditori sono consapevoli che ripresa e crescita dipendano da numerosi fattori esterni, oltre a quelli aziendali», commenta il curatore della ricerca della Fondazione, Davide Girardi. Il driver principale della crescita sarà ancora una volta l’export, lo pensa l’89,4% degli intervistati; solo il 10,4% degli imprenditori sembra prefigurare uno spazio per la domanda interna.
Sono sempre di più le imprese che esportano e che internazionalizzano la propria attività, in particolare le medie e piccole aziende. «Mentre permangono un po’ di nubi sull’andamento dei consumi interni - dice Francesco Peghin, presidente di Fondazione Nord Est -, c’è invece una forte spinta verso l’estero. Il Veneto si è messo profondamente in discussione in questi anni e ha cambiato anche il modo di andare sui mercati internazionali: utilizzando più strumenti digitali e organizzandosi in sinergie con associazioni, fiere, aziende della stessa filiera».
«Le destinazioni più lontane non fanno più paura - aggiunge Peghin -. Mercati in forte crescita come il Cile, il Perù, l’Africa, sono sotto la lente dei veneti». Aziende venete che secondo il presidente di Fondazione Nord Est sono capaci di sopperire al calo della domanda in alcuni mercati ripartendo da zero in altri Paesi.
La propensione degli imprenditori veneti ad essere degli esploratori e a “buttare il cuore oltre l’ostacolo” - anche a causa del fatto che la regione è area di confine, vicina a competitor come la Germania - adesso deve manifestarsi anche in forme nuove. «Oggi - continua Peghin - il vantaggio competitivo degli altri Paesi è altissimo, per questo bisogna far leva sulla creatività, la qualità e il gusto». Un esempio su tutti: quello della Margraf di Chiampo (Vicenza), all’avanguardia nella produzione del marmo, che realizza prodotti tailor made, lavora con i più famosi architetti del mondo, è considerata all’estero eccellenza del made in Italy.
La consapevolezza del ruolo della creatività e della qualità ha portato, ad esempio, all’intensificarsi del fenomeno del re-shoring, ovvero del ritorno in patria di produzioni da aree estere dove la manodopera è a basso costo, ma dove c’è anche minor qualità e capacità professionale.
«C’è però ancora molta strada da fare - conclude il presidente degli industriali veneti Zuccato -, sia da parte delle imprese, che devono avere il coraggio di investire nella conoscenza e nell’uso delle nuove tecnologie, di trasformare i propri modelli di business e internazionalizzare, di mettere a profitto un nuovo rapporto tra industria e servizio, sia da parte delle istituzioni, nel permettere ai giovani di poter sperimentare senza tanti ostacoli burocratici e fiscali, nel costruire un più stretto dialogo tra impresa, scuola e università». Zuccato si riferisce al progetto del Politecnico del Veneto, che doterebbe il territorio di un’infrastruttura digitale all’altezza.
«Sono alcune delle cose che chiediamo alla politica regionale e a questo Governo - aggiunge Zuccato -. Che ha fatto bene con il Jobs Act, provvedimento che sta generando effetti positivi sull’occupazione e di conseguenza sulla ripresa della domanda interna, ma che deve andare avanti senza esitazioni sulla strada degli sgravi contributivi alle aziende e in generale in una più coraggiosa riduzione delle tasse. C’è poi il capitolo della nuova contrattazione, che crediamo debba essere condotta su base territoriale ed essere più legata alla produttività, per favorire il merito e il lavoro di qualità».
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