Economia

Che fare dell’area? La risposta ancora non c’è

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L’EREDITÀ

Che fare dell’area? La risposta ancora non c’è

  • –di Sara Monaci

E dopo sei mesi, che cosa rimane dell’Expo? Oltre alle ricadute immateriali, ci sono questioni molto più palpabili: le infrastrutture costruite, quelle ancora da costruire e lo sviluppo di un nuovo progetto sul milione di metri quadrati su cui è stato allestito il sito espositivo dell’evento universale.
Con parte delle risorse dell’Expo è stata costruita a Milano una nuova linea di metropolitana (la numero 5), un’opera che rimane alla città. Oltre a questa, è stata avviata un’altra linea (la 4), la cui realizzazione è andata a rilento a causa di ricorsi e questioni societarie dovute al rapporto altalenante con i soci privati, con il rischio che, fino allo scorso anno, il progetto rimanesse nel cassetto. Alla fine ha prevalso la considerazione che i circa 600 milioni messi sul piatto grazie al traino dell’Expo (tra fondi già stanziati e quelli aggiunti dal decreto Sblocca Italia) non dovessero andare perduti. La linea 4 dunque è stata «cantierizzata» nei mesi dell’evento, così da non dover restituire al Governo i finanziamenti già disponibili, e sarà pronta tra il 2021 e il 2022, se tutto procederà secondo programma. Fatto non scontato, considerando il costo dell’opera: 2miliardi complessivi per l’infrastruttura, più i costi di gestione e quelli finanziari, che per il Comune fanno lievitare il conto ad almeno 3,5 miliardi per i prossimi 30 anni.

Per Milano si tratta dell’opera principale che rimane in piedi dopo l’Expo e attualmente è anche l’opera più importante prevista in Italia, considerando che la Brebemi (sempre inserita nel dossier di candidatura dell’Expo, del valore di 2 miliardi circa) è stata conclusa nel luglio 2014, pur con alcune opere collaterali che devono essere ancora completate e da cui dipende il vero salto di qualità nel suo funzionamento (in primis il collegamento alla A4, per il quale è in corso un braccio di ferro con la società Autostrade per l’Italia, che si oppone alla concorrenza).
A queste due opere si aggiungono anche i 700 cantieri minori, già conclusi e sparsi per tutta la città, per sistemare strade e reti.
La grande sfida per Milano, ora, è capire che cosa fare di quell’area tra Milano e Rho, grande un milione di metri quadrati e ormai infrastrutturata. Il valore è salito da 160 a 320 milioni e nessuno, lo scorso anno, si è presentato alla gara per acquistarle. La società Arexpo, proprietaria dei terreni, è ora in procinto di cambiare governance, con l’ingresso del ministero dell’Economia (o di Cassa depositi e prestiti) dentro l’azionariato. Si tratta di un mutamento di pelle importante: il Governo entra nella partita del dopo-Expo e con i soci locali (Regione Lombardia e Comune di Milano, che avranno quote paritetiche, tra il 25 e il 30%) dovrà decidere come valorizzare i terreni. Il progetto che sta prendendo piede è già quello elaborato in parte a Milano e in parte a Roma: da una parte infatti il cda di Arexpo ha già raccolto delle manifestazioni di interesse; dall’altra Cassa depositi e prestiti ha scritto una prima bozza di valorizzazione. Comincia a prendere forma l’idea di una cittadella dell’innovazione e della ricerca, attorno a due poli forti: le imprese di Assolombarda, che dovrebbero dare vita all’incubatore di start up “Nexpo”, e l’università Statale di Milano, che qui vorrebbe trasferire le facoltà scientifiche lasciando il quartiere milanese di Città studi.

Il passaggio da Expo ad Arexpo è un processo delicato: le due società devono trovare ancora un accordo su chi deve dare a chi. Ad esempio, Expo chiede soldi per le bonifiche, che Arexpo non vorrebbe dare; Arexpo sostiene che il valore delle aree infrastrutturate, una volta che la gara è andata deserta, sia diverso da quello ipotizzato inizialmente. Poi ci sono le opere di manutenzione prima della riconsegna dei terreni ad Arexpo il 30 giungo 2016, così come il costo delle opere non realizzate per l’evento universale. Il braccio di ferro tra i due cda potrebbe durare a lungo. L’unica cosa da fare probabilmente è l'omogeneizzazione definitiva degli azionariati delle due società.
Le risorse non sono ancora chiare, perché al momento la priorità viene data a governance e progetto da definire. È stata costituita a Roma una cabina di regia, con un manager per ogni ente rappresentato (Comune, Regione e Governo) più il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. Poi bisognerà parlare di finanziamenti, per i quali si ipotizza l’intervento di Cdp. Sarà probabilmente la Statale ad avere subito bisogno di almeno 200 milioni.

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