L'Italia è lontanissima dalla soluzione dei molti problemi infrastrutturali e logistici che la attanagliano da 30 anni. Abbiamo perso troppo tempo. Ormai sappiamo tutto di quello che sarebbe opportuno e utile fare e non servono riprogrammazioni a tutto campo che pure di tanto in tanto tornano di attualità: le aree di dissenso sono limitate mentre c'è larga convergenza sulle politiche prioritarie.
Quello che piuttosto continua a mancare è la dimensione operativa del “fare” e tutte le ricette provate in questi anni - decisionista, semplificatoria, programmatica, federalista - hanno sostanzialmente fallito. Mancano buoni progetti cantierabili (politica e amministrazione pubblica continuano a fermarsi allo step precedente e agli annunci) e mancano procedure snelle per correre veloci.
Questi sono i due fronti decisivi. La riorganizzazione portuale resta sulla carta e il piano varato dal governo è troppo lento, il piano nazionale aeroporti ha un ritardo di 20 anni, l'autotrasporto continua a essere inefficiente e largamente sovvenzionato, l'intermodalità ferro-gomma e ferro-retroporti non è mai decollata, l'infrastrutturazione del Mezzogiorno si è fermata inseguendo miti dai costi faraonici come l'alta velocità ferroviaria, non si è mai affrontato quello che è diventato il nodo più esplosivo oggi, la congestione della mobilità urbana, con servizi pubblici locali che - a forza di rinviare un quadro di regole rigoroso e nascondere polvere sotto i tappeti - sta arrivando a livelli insostenibili e ormai irrisolvibili.
Bene fa il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, a riproporre la questione urbana come decisiva ma per varare questo rovesciamento di priorità servono buoni progetti operativi in attesa di una riprogrammazione a tutto campo che richiederà mesi. Al ministero ora arriva Ennio Cascetta al posto che fu di Ercole Incalza ma il rinnovamento va accelerato perché c'è bsogno di teste e di idee. Se su alcune questioni, come gli appalti, la surroga dell'Anac di Cantone può essere la soluzione giusta in nome di una regolazione efficiente e indipendente che è sempre mancata, su altre questioni vitali, dalla gestione dell'ordinario alle politiche fondamentali (casa, città) ai piani ad alto valore aggiunto come erano un tempo quelli per la riqualificazione urbana, il motore è fermo.
In questo quadro conviene allora ripartire dalle poche cose che hanno funzionato in questo ultimo decennio per trarne qualche lezione utile al presente.
Di questi anni vanno salvati: l'Alta velocità (rete e servizio) e la liberalizzazione ferroviaria, che hanno ridisegnato da sole il sistema trasportistico italiano passeggeri; il risanamento del bilancio di Fs (ma resta il nodo grave del trasporto pendolare e regionale che Stato, Regioni e le stesse Fs non hanno voluto e saputo affrontare); la prima edizione del “piano aeroporti” One Works-Kpmg-Nomisma, raro modello a standard europeo di pianificazione in Italia (poi vanificato dai cinque anni necessari per approvarlo e dal fatto che le concessioni aeroportuali sono andate avanti per una strada autonoma, con i ritardi che abbiamo davanti agli occhi dei grandi scali); l'affidamento della regolazione del settore idrico a una Autorità indipendente quale è l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e i servizi idrici, capace di creare quel raccordo decisivo fra investimenti, tariffa e miglioramento del servizio; una nuova attenzione alle piccole opere, intese non solo per una malposta questione dimensionale, quanto come leva fondamentale del servizio ai cittadini e come ultimo miglio di reti infrastrutturali nazionali; il ritorno di alcune questioni urbane fondamentali nella vita dei cittadini (edilizia scolastica); l'attenzione politica finalmente prioritaria data dall'attuale governo (con risultati operativi però ancora scarsi) al tema del dissesto idrogeologico.
Nel complesso, la lezione che arriva dai primi quindici anni del nuovo secolo è che nel campo infrastrutturale funziona solo ciò che è destinato a trasformarsi rapidamente e virtuosamente in servizio fornito ai cittadini e alle imprese. Qualche passo avanti c'è stato, ma le cose da fare sono ancora tante, per rimuovere vecchie rendite di posizione e vecchie idee che pensano all'opera pubblica come fine a se stessa e in modo autoreferenziale. Il prossimo decennio sarà il decennio della legalità, della logistica e delle città: se non vinceremo queste tre sfide, l'Italia non tornerà a crescere ai livelli e alla velocità che tutti auspichiamo.
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